“Ystoria di santa Teuteria vergine”: storia di un manoscritto ritrovato

“Verona illustrata”, la rivista del Museo di Castelvecchio, esce con il numero 33/2020 e all’interno, fra i vari approfondimenti, si può leggere quello firmato da Agostino Contò, che ci restituisce la storia di una santa e del luogo sacro ad ella dedicato, oggi centralissimo, ma non esposto, trovandosi al di fuori delle mura della Verona romana, appena dopo porta Borsari, a ridosso dell’antica via Postumia (corso Cavour).

La chiesa delle Sante Teuteria e Tosca, addossata all’abside della chiesa dei Santi Apostoli, venne consacrata nel 751 dal vescovo Annone ed è il suo rettore cinquecentesco, Battista Peretti (1522-1611), che ci tramanda le vicende della sua genesi nella “Historia delle sante vergini Teuteria et Tosca, col catalogo de’ vescovi di Verona” (1588). Come riporta attraverso Contò, “Teuteria, nata da una nobile famiglia anglosassone di stirpe reale, si convertì al cristianesimo; di fattezze bellissime «et di santi costumi molto adorna», attirò le attenzioni del re Osgualdo, che la desiderava smisuratamente. Costretta a fuggire per mantenere il proposito «di far in terra un’angelica vita», si diresse a Verona, città «nobile et famosa essere già buona parte de’ Chistiani fatta albergo». Arrivata in città venne a sapere che la sorella del vescovo veronese Procolo, Tosca, conduceva vita da eremita in una cella «a guisa di sepoltura a Dio servendo». Fu accolta benevolmente da Tosca che la salvò nascondendola nella propria cella: all’arrivo dei sicari inviati da Osgualdo, alcuni ragni tessero sull’apertura della cella una tela così fitta da impedirne l’ingresso e salvare le due vergini. Teuteria e Tosca vissero insieme il resto della vita, in comunione di preghiera e sacrifici; le preghiere di Teuteria, in particolare, valsero a far convertire anche il suo persecutore Osgualdo. Teuteria e Tosca morirono a pochi anni di distanza l’una dall’altra, rispettivamente il 5 maggio 236 e il 10 luglio del 241. Il culto delle due vergini è documentabile fin dal secolo VIII“. Ma, va precisato, unicamente a Verona e comunque assai poco diffuso: secondo Peretti ci fu una solenne ricognizione dei corpi nel 1160, fino alla più recente del 1427, e l’utilizzo delle reliquie per la consacrazione degli altari della chiesa dei Santi Apostoli nel 1194, della chiesa di Santa Maria in Chiavica nel 1316, di San Giorgio in Braida, di San Paolo in Campo Marzio e del monastero delle Vergini in Campo Marzo, del monastero di San Giovanni della Beverara, della chiesa di San Zeno in Oratorio, della chiesa dell’abbazia di San Fermo.

Il breve saggio di Contò ricostruisce quelli che furono i materiali di lavoro utilizzati per la
ricerca documentaria e successiva stesura dell’opera di Peretti, basata su due manoscritti oggi conservati nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Uno è particolarmente interessante e contiene la trascrizione del testo latino della Historia tratta da «un libro antico» che si trovava nella biblioteca del monastero veronese di Santa Maria delle Vergini, in parte compilato dallo stesso Peretti, in parte fatto copiare al cappellano delle monache del monastero di Santa Maria delle Vergini in Campo Marzio e pagato il 14 luglio 1554 per «una copia latina della vita di Santa Teuteria da un libro in carta pecorina che si ritrova nel monastero di dette monache [di Campo Marzio]». Nello specifico, un «libro antico coperto di rosso di carta pecora, nel quale è descritta in Latino l’historia di queste sante, et appresso le stesse monache [di Santa Maria delle Vergini] si trova». La sua rilevanza, oltre che per il contenuto agiografico, sta anche nelle informazioni stilistiche che offre, in particolare per la storia della miniatura veronese, e per la strettissima relazione con un altro manoscritto proveniente anch’esso dal medesimo monastero, contenente le vite di San Giorgio e Santa Margherita (ms. 1853, attualmente nelle raccolte della Biblioteca Civica di Verona, acquistato nel 1881).

Contò descrive con minuzia i tratti salienti delle miniature, in numero di diciotto ad illustrare momenti della vita di Teuteria; sottolinea, inoltre “l’utilizzo di foglia oro per l’evidenziazione della corona del re e delle aureole di Teuteria e di Tosca, così come va segnalata la definizione dell’iconografia dei due personaggi femminili, Teuteria con un bel vestito blu, Tosca con un saio marrone“. L’affinità riscontrata con la famiglia del ms. 1853 porta a dedurre che “siano frutto entrambi di un comune progetto, quasi certamente di un unico miniatore e forse anche di un unico copista; i due manoscritti sono inoltre legati alla stessa provenienza: forse sono proprio questi i «duo libri a legendis sanctorum» registrati nell’inventario del 1341 tra i libri della biblioteca del monastero di Santa Maria delle Vergini. Il confronto tra i due lavori suggerisce inoltre alcuni più stretti riferimenti a possibili modelli iconografici, tra i quali vanno segnalati sicuramente il grande affresco della torre abbaziale di San Zeno“. E, indagine non meno affascinante, “ripropone la questione della committenza e della identificazione dello scriptorium, che si potrebbe anche immaginare, se non direttamente afferente al monastero, in qualche modo ‘vicino’, stante un notevole interesse per i libri di cui è chiara testimonianza il cospicuo numero di volumi (una sessantina) censiti
nell’inventario del monastero realizzato nel 1341, libri legati a necessità sia liturgiche sia di edificazione e preghiera. Non mancano, anche se limitate (e in epoche non vicine), notizie di scriptoria a Verona legati a comunità religiose: oltre a quelli della cattedrale e di San Zeno,
sappiamo dell’esistenza di uno scriptorium legato a Santa Maria della Scala e di uno, alla fine del Quattrocento, direttamente gestito dalle monache di Santo Spirito“.

Pochi lumi, dunque, sulla precisa committenza o fine del manoscritto, ma la conferma del “legame dei due manoscritti alla storia del monastero femminile di Santa Maria delle Vergini, che fra il Due e il Trecento accolse molte giovani donne dell’aristocrazia veronese, Della Scala comprese, cui toccò in sorte la vita monastica“.

 
 
Alessandra Moro
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

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