Vita, morte e miracoli di San Zeno

 
 

Inizia il lungo week-end dedicato alla festa del patrono di Verona, San Zeno: è occasione per allestire laboratori, palchi e chioschi (Verona tutto l’anno letteralmente e anche, talvolta, discutibilmente) a sottolineare l’identità scaligera, ma anche, in tema di identità, per riscoprire quella del protagonista e rimettere in luce le tracce che ha lasciato.

Zenone (poi Zeno) era originario dell’Africa del nord, forse della Mauritania, secondo quanto dice la “Cronaca” medioevale di Coronato – notaio veronese vissuto alla fine del VII secolo – e per coerenza dello stile dei suoi scritti con quelli di altri autori coevi e conterranei.
Non è nota la ragione del suo arrivo a Verona, ma si sa che il suo IV secolo fu tempo di intensi viaggi da parte di personaggi di grande dottrina, essendo terminata l’èra delle persecuzioni e subentrato un clima favorevole per scambi e spostamenti.
Fatto sta che Zenone a Verona giunse e rimase, conducendo vita monastica fino al 362, allorchè fu eletto successore del defunto vescovo Cricino, diventando l’ottavo vescovo della città per circa dieci anni; morì il 12 aprile, probabilmente del 380 e quasi certamente di morte naturale, non comunque martire, come si evince da una lunga serie di documentazioni.

1597

Una lettera di sant’Ambrogio al vescovo Siagro ne dà primo cenno, chiamandolo presule “di santa memoria”; Petronio, vescovo di Verona fra il 412 e il 429, ne ricorda le grandi virtù e testimonia già un culto, confermato poi dal “Rhytmus Pipinianus” o “Versus de Verona” – elogio in versi della città, scritto fra il 781 e l’810, ove Zeno è citato come ottavo vescovo – e dal “Velo di Classe” dell’ottavo secolo, un prezioso drappo posto dal santo vescovo veronese Annone nella chiesa di S. Fermo e S. Rustico, quando di essi accolse le spoglie. La seta è ricamata con figure di vescovi veronesi e dei due stessi santi; oggi se ne conservano alcune bende nel museo nazionale di Ravenna.

Reliquie e prodigi –  Emblema di Zeno, oltre al bastone pastorale, è il pesce ed egli è protettore dei pescatori. A Verona operò alacremente, rinforzando nel clero e nel popolo la fede e offrendo esempio di carità e umiltà; il suo episcopato fu costellato di numerosi scontri con i demoni, alcuni raffigurati su parte delle formelle dello splendido portale della basilica oggi a lui intitolata e tratti dai racconti di Coronato. Tra i più rilevanti, uno risale a quand’egli, pur vescovo, viveva parcamente da monaco in un luogo appartato presso la riva dell’Adige, pescando per cibarsi; un giorno vide un contadino trascinato dalla corrente del fiume, insieme al suo carro e ai buoi imbizzarriti: fatto il segno della croce all’indirizzo dello sventurato e delle bestie, queste ultime si placarono e riportarono il carro a riva.

La chiesa di San Zeno in oratorio (o San Zenetto), sorse in prossimità del fiume (oggi ristretto dalle regaste, ma un tempo ad ansa molto più estesa e dalla riva boscosa, come riecheggia nel toponimo del Boscarèl), nel sito in cui il santo pescava; al suo interno conserva la pietra sulla quale sedeva in paziente attesa.

Il prodigio più stupefacente è narrato anche da papa S. Gregorio Magno. Nel 589 una piena del fiume Adige sommerse l’abitato, lambendo la chiesa intitolata a Zeno, che aveva le porte aperte. Ebbene: nonostante il livello avesse raggiunto l’altezza delle finestre, non entrò nell’edificio. Vide l’evento la regina Teodolinda, presente per sigillare l’unione matrimoniale con il re Autari nel “campo di Sardi”, l’accampamento longobardo (e nella cappella a lei dedicata, nel Duomo di Monza, ventuno affreschi descrivono i sontuosi preparativi), come racconta Paolo Diacono: “Il re Autari mandò i suoi messaggeri in Baviera a chiedere in sposa la figlia del re Garibaldo. Questi li accolse con favore e promise loro sua figlia Teodolinda. Appena Autari conobbe la risposta di Garibaldo, volle vedere di persona la sua sposa e partì subito per la Baviera, portando con sé pochi uomini e un vecchio di fiducia, d’aspetto piuttosto autorevole. Quando furono ammessi alla presenza di Garibaldo, Autari, di cui nessuno conosceva la vera identità, si avvicinò a Garibaldo e gli disse: – Il mio signore Autari mi ha mandato qui apposta per vedere la vostra figliola, sua sposa e nostra futura regina, onde io possa poi descrivergli con precisione che aspetto ha. Garibaldo fece subito venire la figlia e Autari restò a guardarla in silenzio, poiché era molto graziosa. Infine, soddisfatto per la sua scelta, disse al re: -Vostra figlia è davvero bella e merita di essere la nostra regina. Ora, se non avete nulla in contrario, vorremmo ricevere dalle sue mani una tazza di vino, come ella dovrà fare spesso in avvenire con noi. – Garibaldo acconsentì e la principessa, presa una tazza di vino, la porse prima a colui che sembrava il più autorevole, poi la offrì ad Autari, senza immaginare neanche lontanamente che fosse il suo sposo: e Autari, dopo aver bevuto, nel restituire la tazza, sfiorò furtivamente con un dito la mano e si fece scorrere la destra dalla fronte lungo il naso e il viso. La principessa riferì arrossendo la cosa alla nutrice e questa le rispose: – Se costui non fosse il re che deve essere tuo sposo, certo non avrebbe osato neppure toccarti. Ma adesso facciamo finta di niente: è meglio che tuo padre non ne sappia nulla. Secondo me, però, quell’uomo è un vero re e un marito ideale.- In effetti Autari era allora nel fiore della giovinezza, ben proporzionato di statura, biondo di capelli e assai bello d’aspetto. Finalmente i Longobardi si accomiatarono dal re e in breve tempo furono fuori del territorio dei Norici. Ma non appena giunsero in vista dell’Italia, quando i Bavari che li scortavano erano ancora con loro, Autari si sollevò il più possibile sul cavallo e con tutte le forze scagliò la piccola scure contro l’albero più vicino, dicendo: – Tali colpi suol dare Autari!- (Anno 589) Successivamente, essendo diventata precaria la situazione di Garibaldo in seguito all’invasione dei Franchi, Teodolinda si rifugiò  in Italia con suo fratello Gundoaldo e fece avvertire Autari del suo arrivo. Subito egli le andò incontro con gran pompa per celebrare le nozze nel campo di Sardi, presso Verona e la sposò il 15 maggio tra l’esultanza generale“.  Nozze offuscate da oscuri presagi…: “Il giorno del matrimonio tra Autari e Teodolinda scoppiò improvvisamente un temporale e un pezzo di legno, forse un albero, che si trovava nel recinto regale, fu colpito da un fulmine con gran fragore di tuoni. Ora, alle nozze era presente anche Agilulfo, duca di Torino, il quale aveva tra i suoi servi un indovino che, per arte diabolica, conosceva il significato dei fulmini. Costui disse al padrone: – La donna che ora ha sposato il nostro re, tra non molto sarà tua moglie. – Udendo questo Agilulfo minacciò di tagliargli la testa se avesse osato dire ancora una parola; ma il servo aggiunse: – Puoi anche uccidermi, ma questo non cambia il destino: quella donna è venuta qui per unirsi in matrimonio con te. – E così infatti avvenne più tardi“.

Historia di San Zeno – 1597

La prima basilica paleocristiana veronese fu costruita nell’area occupata attualmente dalla chiesa di S. Elena, voluta e consacrata da San Zeno; le dimensioni risultarono presto inadeguate e si provvide ad un nuovo, più ampio edificio, che crollò nel VII sec. e fu eretto nuovamente dall’arcidiacono Pacifico tra VIII e IX secolo. La basilica di San Zeno a noi familiare, invece, si sviluppò sul sacello di Zeno dal IV sec., fu distrutta dopo le nozze reali e subito rifatta, rasa al suolo dagli Ungari nel X secolo (le spoglie di San Zeno vennero traslate temporaneamente nella cattedrale di Santa Maria Matricolare e tornarono nella cripta dopo il ripristino, nel 921), danneggiata nel 1117 da un violento terremoto, restaurata e ingrandita nel 1138.

Il “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai giorni nostri“, pubblicato nel 1859, riporta le solenni nozze tra Teodolinda e Autari, nel 589, anno in cui “Verona e gran parte d’Italia fu travagliata dall’inondazioni; la maggior escrescenza dell’Adige avvenne a’ 17 ottobre e ne restò rovinato un pezzo delle mura. Due mesi dopo un incendio furioso distrusse gran parte di Verona”.

San Zen che ride – Decine sono gli episodi miracolosi che la tradizione attribuisce a San Zeno, dall’aver fatto trasportare al demonio la pesantissima vasca di porfido oggi visibile nella basilica (con tanto di diaboliche e rabbiose unghiate) ad esorcismi. Ma il Patrono, oltre che pio e còlto, era pure uomo gioviale, come attestano due opere: un’anta dell’antico organo – ora  nella chiesa di San Procolo – e la grande statua in marmo colorato (metà XIII sec.) nella basilica, che lo ritraggono con bonaria espressione. L’amato e venerato “San Zen che ride”.

La festa liturgica di san Zeno è il 12 aprile; nella diocesi di Verona, però, la ricorrenza è stata spostata al 21 maggio, data della traslazione delle reliquie nella basilica, nell’anno del Signore 807.

 

 
 
Alessandra Moro
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

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