Velarium per l’Arena? I Romani facevano così

 
 

Copertura Arena: la notizia farà discutere ancora parecchio; mettiamoci, a monte, una buona e neutra base storica e scopriamo come era la situazione al tempo dei nostri avi latini. L’osservazione, con attento occhio archeologico, di monete, affreschi e bassorilievi, ha dimostrato la presenza di tensostrutture ombreggianti per teatri, anfiteatri, circhi e stadi già nel I sec. a.C a Roma, con progressiva diffusione in altre aree dell’impero. Come si legge sul sito del Politecnico di Milano, nella sezione dedicata all’architettura tessile, le coperture venivano intelligentemente realizzate riciclando vele navali dismesse,  presumibilmente in cotone o lino, sostenute da due ordini di funi cerate per facilitare lo scorrimento nella struttura di supporto e favorire apertura o chiusura, all’occorrenza (un sistema di derivazione nautica); nelle regioni poco baciate dal sole, i teli erano impermeabilizzati con un trattamento in superficie a base di cera o grasso. In località assolate, oltre ai velaria ombreggianti, per attenuare l’inevitabile odore di sudore – dato che gli spettacoli si svolgevano da aprile a ottobre – si facevano cadere refrigeranti pioggerelle artificiali profumate di acqua di rose o zafferano. Nel “De rerum natura” Lucrezio scrive di “velari gialli e rossi e color di ruggine” che “tesi su grandi teatri, oscillano e fluttuano, spiegati ovunque tra pali e travi” e “colorano sotto di sé il pubblico”. Plinio ricorda la copertura del Foro, quando lì si tenevano gli spettacoli, Svetonio, nelle “Vite dei Cesari”, narra che Caligola facesse ritirare il velarium nelle ore più calde, ordinando che nessuno lasciasse l’anfiteatro; Marziale e Properzio citano quello dell’anfiteatro di Pompei, raffigurato nell’affresco che ritrae il noto, drammatico episodio della zuffa tra pompeiani e nocerini. Giulio Cesare fece distendere lungo tutto il Foro e la via Sacra fino al Campidoglio vele colorate ombreggianti, per manifestare la grandezza della città, Nerone coprì il suo anfiteatro di preziose stoffe decorate in blu e stelle d’oro.

Ricostruzione del velarium dell’Arena (incisione di Scipione Maffei).  

Scipione Maffei fu autore anche del trattato “De gli anfiteatri, e singolarmente del veronese, libri due : ne’ quali e si tratta quanto appartiene all’istoria, e quanto all’architettura”, pubblicato nel 1728 e in cui un capitolo è proprio sul “Velario”.

Scritto tutto ciò per amor di verità storica, rimane la pesantissima perplessità sull’opportunità, ora come ora a Verona, di investire in questo progetto, quando di ben più grave portata sono altri fatti orbitanti intorno all’Arena, tipo il passivo in bilancio, gli stipendi arretrati, il corpo di ballo licenziato: una situazione fotografata  da un blog il cui nome dice tutto: sosfondazionearenaverona. In una città che è patrimonio Unesco per la sua arte, è una musica stonata.

 

 
 
Alessandra Moro
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

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