Negli ultimi anni la ricerca scientifica sul carcinoma del pancreas, uno dei più aggressivi, ha fatto importanti progressi e l’aspettativa di vita, che era per lo più di pochi mesi, ora supera i tre anni in un numero sempre crescente di pazienti, grazie alla combinazione di chirurgia e oncologia. Uno dei problemi più grandi da risolvere resta, però, la diagnosi tardiva. Per questo, la ricerca punta a strategie di sorveglianza attiva per tenere sotto controllo chi è più a rischio di sviluppare tale patologia, a causa di familiarità per carcinoma pancreatico e/o predisposizione genetica.
I risultati di un nuovo studio co-guidato dall’ateneo di Verona, insieme all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, sono da poco stati pubblicati sulla rivista scientifica The American Journal of Gastroenterology, e sono frutto di una collaborazione multicentrica italiana cui hanno partecipato, per l’università scaligera, Salvatore Paiella e Giuseppe Malleo, docenti di Chirurgia Generale, Roberto Salvia, docente di Chirurgia generale e direttore dell’unità operativa di Chirurgia del pancreas, Erica Secchettin, clinical project manager nel dipartimento di Scienze chirurgiche, e Fabio Casciani, chirurgo generale e dottorando in Infiammazione, immunità e cancro. Primo autore condivisoGabriele Capurso, del San Raffaele di Milano.
Lo studio riporta i risultati della sorveglianza condotta con risonanza magnetica o ecoendoscopia su 679 soggetti sani, a rischio di carcinoma pancreatico per familiarità, cioè con almeno due parenti affetti da carcinoma pancreatico, sulla stessa linea di sangue, di cui uno di primo grado, o predisposizione genetica, cioè mutazioni ben precise, come Brca1/2, Palb2, Cdkn2A, Atm o i geni della Sindrome di Lynch, anche senza associata familiarità per carcinoma pancreatico. I partecipanti allo studio erano iscritti al registro Irfarpc, registro italiano soggetti a rischio di carcinoma pancreatico, che si sviluppa sotto l’egida dell’Aisp, l’associazione italiana per lo Studio del pancreas, attualmente sotto la presidenza di Silvia Carrara. Grazie a questi controlli sono stati individuati una lesione pre-carcinomatosa e 8 adenocarcinomi, 5 dei quali in portatori di mutazioni genetiche.
Grazie alla sorveglianza attiva, sono stati identificati 8 carcinomi pancreatici, e una lesione pre-tumorale, in soggetti asintomatici, che non avrebbero ricevuto diagnosi se non in fase sintomatica, conclamata di malattia. Inoltre, sono stati identificati ben sei tumori neuroendocrini del pancreas, altri carcinomi non pancreatici e un numero considerevole di cisti pancreatiche da sorvegliare.
“Degli 8 carcinomi pancreatici”, spiega Paiella, “ben 3, quindi circa il 40 per cento, erano in stadio precoce, percentuale molto alta, e molto distante dalla pratica clinica dove è inferiore al 5 per cento, e ben 5 erano “resecabili” alla diagnosi, cioè erano aggredibili chirurgicamente, anche qui il dato storico della pratica clinica è di circa il 20 per cento. Il follow-up è ancora molto breve per potere sperare che questi interventi chirurgici e queste diagnosi precoci possano aver impattato positivamente sulla sopravvivenza. Ma di sicuro, più precoce è la diagnosi, migliore è la prognosi”.
Inoltre, lo studio conferma la tendenza degli ultimi studi del genere, secondo cui la sorveglianza attiva andrebbe dedicata solo ai soggetti con predisposizione genetica, e quindi non aventi solo familiarità.
Proprio quest’anno, inoltre, è partito lo studio Proph-ita, unico al mondo nel suo genere, che prevede la profilazione genetica dei soggetti con familiarità, a partire da un tampone salivare non invasivo. La chirurgia del pancreas di Verona è capofila di questo studio coordinato da Salvatore Paiella, insieme a Humanitas e San Raffaele, e fa parte dei Centri fondatori del registro Irfarpc.
Il registro, che è ancora in fase sperimentale, mira ad arruolare il maggior numero possibile di soggetti sul territorio nazionale, promuovendolo soprattutto in contesti sanitari regionali dove non ci sono centri attivi. Ciò consentirà di intercettare soggetti a rischio di carcinoma pancreatico da sorvegliare.
“La chemioterapia, opportunamente combinata con la chirurgia, ancora oggi è l’arma più importante nell’affrontare un carcinoma del pancreas”, spiega Paiella, “e, sostanzialmente, le possibilità di guarigione definitiva dipendono dalla sua capacità di distruggere la malattia «invisibile». Diversi studi hanno dimostrano, numeri alla mano, che servono centri specializzati nella cura di questo carcinoma e che è fondamentale rivolgersi a ospedali di grande esperienza, soprattutto per quanto riguarda la chirurgia che è particolarmente complessa”.