Le stazioni radio base installate sul territorio di Verona e provincia sono in tutto 1.213, di cui 352 in città. Di queste 11 nella provincia, e 10 soltanto a Verona, sono predisposte anche per la tecnologia 5G. In Veneto invece gli impianti con tecnologia 5G a 3.700 Mhz sono complessivamente 13.
Per ora non ci sono scambi di dati né traffico, visto che la tanto discussa tecnologia non è ancora attiva, ma gli impianti sono attrezzati a un eventuale prossimo futuro.
Il dato, reperibile anche sul sito dell’Arpav, è emerso oggi durante il webinar promosso dall’Ordine degli Ingegneri per fare chiarezza su tecnologie e standard di quinta generazione.
Si tratta del primo evento inserito nella rassegna “Open, i ponti della comunicazione”, per dare il via al ciclo di eventi partendo da quello senza dubbio più dibattuto e attuale.
Un tema che sta assistendo anche a un cambio di scena a livello locale visto che, come evidenziato dall’assessore all’ambiente, Ilaria Segala, all’inizio del convegno, il progetto di smart city tra Agsm, Comune di Verona e TIM è fermo “per una scelta politica”. “Da febbraio a oggi i comuni contrari al 5G sono passati da 53 a 262 e, alla luce delle indicazioni dei vari sindaci, ci stiamo confrontando anche noi sulla questione”, precisa l’assessore.
Il tema del resto è “caldo”, come dimostrato sia dall’iscrizione al webinar di oltre 1.000 persone, sia dal questionario promosso sulla pagina Facebook dall’Ordine visionato da oltre 240mila persone e votato da 38mila. I pro superano di poco i contro.
“In molti ci hanno fatto notare di non sapersi esprimere sul 5G perché non conoscono abbastanza la tecnologica e per questo abbiamo promosso un evento per fare chiarezza”, fa presente il presidente dell’Ordine, Andrea Falsirollo.
“L’emergenza Covid ha evidenziato un’estrema fiducia negli organi che tutelano la nostra salute, ma sulla nuova tecnologia, invece, sembra che i pareri degli esperti non convincano e le fake news si sprecano. Come emerso anche dalla Commissione ICT dell’Ordine parlando di sperimentazione nel nostro Paese si è dato adito a un grande malinteso che la associa all’ambito sanitario invece che a quello tecnologico”.
“L’Italia è stato il primo Paese europeo a sperimentare il 5G perché ci si rende conto che è indispensabile per dispositivi come le auto a guida autonoma in cui i tempi di latenza, tra l’esecuzione del comando e la sua attuazione, devono essere evidentemente più rapidi di quelli di un sms o di un messaggio whatsapp”, fa notare Mario Frullone, direttore Scientifico della Fondazione Ugo Bordoni. “Siamo di fronte a una rivoluzione industriale che porta con sé inevitabili timori e molte false notizie. Un mese e mezzo fa linee guida hanno ribadito che non ci sono evidenze circa l’eccesso di preoccupazioni. Il principio di precauzione resta comunque alto la ricerca continua a indagare e a fare il suo corso”.
I limiti imposti in Italia legati all’uso dei terminali sono del resto molto più rigidi di quelli esteri. Se la densificazione delle antenne con frequenze millimetriche viene percepita come un eccesso di presenze nocive, in realtà gli esperti spiegano che in questo modo i livelli di potenza si riducono e uniformano.
“Le frequenze millimetriche non penetrano nell’organismo ma restano a livello della pelle e le antenne cosiddette intelligenti possono valutare la potenza irradiata. Se supera determinati parametri si riduce o azzera”, evidenzia Frullone facendo notare che si tratta di tecnologie rivoluzionare anche in ambito medico, per la sanità a distanza.
Sabrina Poli dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto ricorda che le bande di frequenza tra i 694 e i 790 MHZ, al momento, sono occupate dal digitale terrestre, e non saranno libere prima del luglio del 2022. “ll gestore deve presentare una Scia presso il Comune corredata di tutta la documentazione tecnica e scientifica e l’installazione degli impianti avviene solo dopo il parere favorevole dell’Arpav”, evidenzia. “Il controllo è sia preventivo, con l’analisi della massima potenza dell’impianto, sia con periodici monitoraggi per rilevare le frequenze”.
Eppure in molti sembrano spaventati al solo sentir parlare della tecnologia.
“Mi occupo dell’argomento da quasi 30 anni e se prima le preoccupazioni si riversavano sulle onde televisive, nel tempo si sono focalizzate sui campi elettromagnetici”, fa notare Alessandro Polichetti del Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità. “Negli ultimi due anni, però, c’è un attacco diretto alla tecnologia specifica del 5G. Chi si opponeva negli anni ’90 proponeva più antenne a bassa potenza, ora è il contrario, si teme il proliferare di antenne che in realtà garantiranno livelli di esposizione più uniforme. L’organismo è esposto alle onde elettromagnetiche, e in parte le assorbe. Per questo ci sono standard recepiti dall’Unione Europea sui limiti di esposizione, che in Italia sono persino più rigidi, visto che contemplano la tutela a lungo termine. Le preoccupazioni sono legittime, ma non si capisce tanto accanimento specifico su una singola tecnologia”.
Diego Dainese docente all’Università di Padova fa notare che, se la soglia di qualità è fissata a 6 volt al metro, ci sono elettrodomestici come un banale forno a microonde che ne emanano fino a 16 e da cui è bene tenersi alla distanza di almeno un metro quando sono in funzione. E conclude: “Nell’utilizzo di un cellulare i valori più alti sono nell’esposizione attiva, ossia quando è l’utente stesso a scegliere di esporsi”.