È illegittima la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 10, lett. ii), del DPCM 14 gennaio 2021 (ed efficace fino al 5 marzo 2021) nella parte in cui, in combinato disposto con l’allegato n. 24, esclude gli “estetisti” dai “servizi alla persona” erogabili in zona rossa.
Il TAR del Lazio con la Sentenza n. 1862 depositata il 15 febbraio 2021 ha chiarito che il supporto istruttorio al proprio provvedimento è il verbale n. 144 della seduta del 12 gennaio 2021 in cui il Comitato Tecnico Scientifico consiglia in generale di mantenere le misure restrittive già adottate, comunque ne suggerisce una modulazione associata all’utilizzo di “congrui fattori di correzione” da applicare ai tassi regionali di incidenza settimanale. Il verbale 144/2021 inoltre, richiama il “Documento di prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione nel periodo autunno-invernale”, redatto di ISS e Ministero della salute e condiviso dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome, in cui si fa riferimento al “Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da SARS CoV2 nel settore della cura della persona: servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici” redatto da INAIL e ISS e condiviso dal CTS: si tratta sempre del documento invocato dalla parte ricorrente, in cui l’attività dei centri estetici è ritenuta, nella sostanza, autonomamente più sicura di quella dei parrucchieri, attese le misure di prevenzione igienica che a regime sono ivi poste in essere.
Per i giudici del TAR anche in questo caso il CTS nulla dice in ordine alle ragioni tecnico-scientifiche per le quali sarebbe giustificata, in aree con scenario di tipo 4 (cd. zona rossa), l’apertura dei parrucchieri e non anche quella dei centri estetici.
Ciò altresì tenuto conto che, anche con il DPCM 14 gennaio 2021, sono pubblicate, nell’ allegato 9, le “Linee guida per la riapertura delle attività economiche, produttive e ricreative della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome dell’8 ottobre 2020” in cui la disciplina prevista per i “Servizi alla persona” ancora una volta ricomprende e accomuna “acconciatori, estetisti e tatuatori”.
Nella Sentenza si legge che “I provvedimenti amministrativi che hanno imposto la censurata misura e i documenti istruttori che ne costituiscono il supporto tecnico scientifico, fin qui esaminati, appaiono pertanto espressione di un non corretto esercizio del potere discrezionale da parte dell’amministrazione presentando tutte le figure sintomatiche dell’eccesso di potere. Emerge l’assenza di evidenze istruttorie e di una motivazione, sia pure per relationem, che dia conto delle ragioni per le quali l’amministrazione si sia discostata dalle indicazioni fornite dai richiamati documenti tecnico-scientifici, allegati ai provvedimenti, in cui nei “servizi alla persona” sono costantemente ricomprese e accomunate le attività di “acconciatori, estetisti e tatuatori”.
Nelle materie connotate da lata discrezionalità amministrativa, il sindacato del giudice amministrativo deve essere condotto attraverso le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, nello specifico nella forma della motivazione insufficiente, dell’errore di fatto, dell’ingiustizia grave e manifesta, della contraddittorietà interna ed esterna, nonché, più radicalmente, dello sviamento di potere (Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 976).
La prima Sezione del TAR del Lazio pertanto ritiene, alla luce della disamina effettuata, che l’impugnata disposizione sia affetta dai suddetti vizi i quali, per la loro oggettiva consistenza, permangono pur in presenza della applicazione del principio di precauzione, dettato in primis dall’art. 191 del TFUE e a seguire recepito da ulteriori fonti comunitarie e dai singoli ordinamenti nazionali.
In proposito la Commissione Europea in una Comunicazione del 2 febbraio 2000 ha affermato che “Nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere, tra l’altro: proporzionali rispetto al livello prescelto di protezione, non discriminatorie nella loro applicazione, coerenti con misure analoghe già adottate, basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici), soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici, e in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio” (par. 6). Ha, inoltre, chiarito, a proposito della “proporzionalità” che “Non sempre un divieto totale può essere una risposta proporzionale al rischio potenziale”; aggiungendo che “Non discriminazione significa che situazioni comparabili non devono essere trattate in modo diverso e che situazioni diverse non debbono essere trattate nello stesso modo, a meno che non vi siano motivi oggettivi” e che “Coerenza significa che le misure debbono essere di portata e natura comparabili a quelle già adottate in aree equivalenti, nelle quali tutti i dati scientifici sono disponibili”.
Il Tribunale condividendo questa linea di pensiero, rileva che anche la costante giurisprudenza ha ritenuto che il principio di precauzione presuppone l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura.
Pertanto, pur essendo innegabile che tutte le misure restrittive imposte per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso siano ispirate al principio di precauzione, nel caso di specie la discriminazione fra le attività dei parrucchieri/barbieri e dei centri estetici non risulta supportata da una base istruttoria o da evidenze scientifiche, sussiste contraddizione tra l’allegato n. 24 che, tra i “Servizi per la persona”, riporta soltanto, per quanto di interesse, “Servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere” e l’allegato n. 9 in cui la disciplina prevista per i “servizi alla persona” ricomprende e accomuna “acconciatori, estetisti e tatuatori”, infine l’impugnata misura appare non coerente con le misure analoghe già adottate.
Alberto Speciale