La Sala Polivalente dell’Ospedale di Marzana a Verona ha ospitato la Conferenza dei Servizi 2024 dell’Azienda ULSS 9 Scaligera, intitolata quest’anno “Stigma – Una sfida da vincere” e focalizzata in particolare sui pregiudizi rispetto agli anziani, ai fragili e alle persone con disabilità, in un’ottica di inclusione.
All’incontro, aperto al pubblico e rivolto in particolare ad enti del Terzo Settore e Associazioni di Volontariato, erano presenti la Dott.ssa Patrizia Benini, Direttore Generale dell’ULSS 9 Scaligera; il Dott. Felice Alfonso Nava, Direttore dei Servizi Socio Sanitari; il Dott. Giuseppe Imperadore, Direttore Dipartimento Salute mentale e UOC Psichiatria 1; il Dott. Emanuele Zullini, Direttore UOC IAF e Consultori Distretto 4; il Dott. Camillo Smacchia, Direttore UOC Dipendenze Bussolengo-Legnago; e il Dott. Matteo Grezzana, Direttore Dipartimento Internistico e UOC Geriatria dell’Ospedale di Villafranca.
L’intervento di apertura è stato affidato al Direttore Generale dell’ULSS 9 Scaligera, Dott.ssa Benini: «La Conferenza dei Servizi 2024, al di là della sua obbligatorietà per legge, è stata un necessario momento di confronto tra l’Azienda e chi rappresenta le Associazioni del Terzo Settore e le persone, soprattutto in un ambito delicato come quello socio sanitario in rapporto alle persone fragili. Il titolo fa riferimento al pregiudizio verso un gruppo di persone che riteniamo non abbiano determinate potenzialità e che siano problematiche per il resto della società. Dobbiamo ribaltare la visione che porta allo stigma: queste persone hanno capacità differenti, possibilità diverse e altri talenti da valorizzare. Giusto includere in questo pregiudizio le persone anziane: ci si comporta spesso verso di loro come se fossero totalmente limitate, ed è sbagliato. Il nostro dovere come Azienda Socio Sanitaria è supportare e assistere queste persone e le loro famiglie, garantendo il massimo dei servizi, in qualsiasi luogo della provincia si trovino, in maniera omogenea. E in questo sono importantissimi il supporto e lo stimolo costruttivo che arrivano dalle Associazioni».
Il Dott. Nava è quindi entrato nel vivo della Conferenza, affrontando insieme ai Responsabili dei Servizi territoriali aziendali il tema dello stigma e approfondendo le azioni messe in campo dall’ULSS 9 e le iniziative da intraprendere, con la rete territoriale del Terzo Settore e delle Amministrazioni locali. «Stigma – spiega il Dott. Nava – significa etichettare con stereotipi gruppi di persone, come i più fragili, le persone con disabilità e gli anziani che vengono spesso associati a connotazioni negative, il cosiddetto “ageismo”, che l’OMS definisce “etichetta della vulnerabilità” e accresce sentimenti di inutilità e frustrazione, deleteri per la salute delle persone anziane e fragili. Lo stigma è il filo rosso che unisce i settori dell’Azienda che lavorano sulla fragilità ed è il punto di partenza per affrontare trasversalmente questo problema; motivo per cui se n’è discusso con i Direttori del Dipartimento di Salute mentale e delle Unità Operative di Psichiatria, IAF e Consultori, Dipendenze e Geriatria. Credo sia un valore aggiunto di questa Azienda aver costruito percorsi trasversali anche nell’assistenza delle varie fragilità, con un miglioramento nella qualità delle cure che ha portato ad allungare l’aspettativa di vita di persone con disabilità, con fragilità, con problemi di salute mentale e di dipendenza da sostanze. La sfida dell’assistenza a queste persone la si vince coinvolgendo in maniera attiva le Amministrazioni, le Associazioni del territorio e ovviamente le famiglie».
Il Dott. Grezzana ha posto l’accento sulla percezione che la società ha di una persona ritenuta malata: «Gli inglesi hanno tre parole per dire malattia: con “disease” si intende la definizione biologica; “illness” indica come una persona vive la malattia; e “sickness” come la società percepisce il malato. In quest’ultima risiede lo stigma che dobbiamo combattere per evitare che un malato venga visto come disturbante e assorbitore di risorse».
Per parlare di stigma, il Dott. Imperadore ha preso poi ad esempio i disturbi del neurosviluppo per evidenziare come la narrazione contribuisca a creare i pregiudizi: «Uno studio anglosassone di una decina d’anni fa affermava che il 20 per cento della popolazione carceraria potesse soddisfare i criteri per avere una diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Se comunico questo a un genitore che ha un figlio con ADHD, gli sto dicendo che c’è una possibilità che il figlio possa andare incontro a problemi di dipendenza o di antisocialità. Ma sarebbe una narrazione parziale: per dare un’informazione completa, dovrei dire a quel genitore che il più grande nuotatore di tutti i tempi, Michael Phelps, soffre di ADHD, così come Adam Levine, il cantante del gruppo pop americano Maroon 5. E lo stesso possiamo dire dei disturbi dello spettro autistico. Le traiettorie non sono tutte uguali e non vanno tutte nella stessa direzione».
Perciò – ha evidenziato il Dott. Zullini – «per combattere lo stigma dobbiamo cercare di informare in maniera precisa. Spesso i giovani devono nascondere disagi e disturbi per non essere classificati e riconosciuti come negativi. L’etichettatura è diventata comune nella nostra vita quotidiana, ed è per questo che abbiamo iniziato un progetto all’interno delle scuole superiori, per parlare con i ragazzi di ADHD, autismo e disturbi del neurosviluppo. Il nostro compito di professionisti è dare una diagnosi precisa, definita e chiara, dando caratteristiche precise, per permettere alla persone di leggere le situazioni e comprenderle, evitando etichette come “strano” o “fuori dalla normalità”».
Il Dott. Smacchia, infine, ha parlato di stigma in rapporto alle dipendenze: «Fino a qualche tempo fa, in Veneto, veniva stigmatizzato chi non beveva alcol e, per quanto riguarda l’emancipazione femminile, fumare è diventato un segno di diritti acquisiti da parte delle donne. Quando parliamo di prevenzione delle dipendenze, tutti siamo coinvolti nell’adottare comportamenti che sono da modello per i più giovani. Negli anni ‘70 – 80 i tossicodipendenti si mettevano ai margini della società, erano stigmatizzati e visibilissimi. Ora osserviamo che sono le persone appartenenti alla società civile che ci chiedono aiuto, e non sono solo i giovani: i miei pazienti vanno dall’età pediatrica all’età geriatrica. Per questo serve fare rete, con un approccio trasversale».