La natura non smette mai di stupirci e regalarci opportunità, se intelligentemente gestite: una ricerca condotta dall’università di Verona e dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston – i cui esiti sono stati pubblicati sulla rivista Nature Chemistry – ha portato alla scoperta del meccanismo attraverso cui alghe e muschi si proteggono dal troppo sole. Si tratta di una proteina che dissipa l’energia in eccesso sotto forma di calore, con azione fotoprotettiva, denominata LHCSR1.
La ricaduta pratica della scoperta? Gli scienziati, approfondendo le indagini, potrebbero arrivare a modificare la proteina, in modo da promuovere la fotosintesi, potenzialmente aumentando la resa della biomassa dei raccolti e delle alghe coltivate per i biocarburanti.
“La fotosintesi, che consente di trasformare l’energia dal sole in zuccheri e altre sostanze essenziali, dipende dalla luce”, spiega Roberto Bassi, docente di Fisiologia vegetale all’università veronese, tra i firmatari dello studio insieme a Alberta Pinnola e Luca Dall’Osto del dipartimento di Biotecnologie dell’ateneo scaligero e Toru Kondo, Weit Jia Chen e Gabriela Schau-Cohen del dipartimento di Chimica del MIT. “La luce è la sorgente di energia per le piante ma l’eccesso di luce può anche essere molto pericoloso. Quando assorbono più luce di quella che possono usare nel loro metabolismo, l’energia extra crea tossine che distruggono i tessuti. Per prevenire questi danni, le piante verdi hanno sviluppato un meccanismo di difesa conosciuto come “fotoprotezione”, che consente loro di dissipare l’energia in eccesso come calore. I ricercatori dall’università di Verona e del MIT hanno ora scoperto come la proteina chiave responsabile di questo processo, chiamata LHCSR1, consenta al muschio e alle alghe verdi di proteggersi”.
La proteina, incorporata nelle membrane del cloroplasto (l’organello che contiene tutta la clorofilla e che dà il colore verde al nostro paesaggio naturale), può passare tra diversi stati in risposta ai cambiamenti della luce del sole. Quando gli organismi assorbono più luce di quanto abbiano bisogno, la proteina disperde l’energia in calore. Se questo non succedesse, la clorofilla energizzata reagirebbe con l’ossigeno dell’aria producendo sostanze chimiche altamente tossiche. La proteina LHCSR1 può agire in pochi secondi in seguito ad un cambiamento repentino dell’esposizione luminosa, ad esempio quando il sole appare da dietro una nuvola o da una fronda mossa dal vento.
“Questi meccanismi fotoprotettivi – approfondisce Bassi – si sono evoluti dal fatto che la luce solare arriva alle piante in maniera molto variabile nel tempo: ogni giorno la luce è bassa al mattino e alla sera ma molto alta a mezzogiorno. Inoltre, nuvole e la presenza di altre piante le cui fronde sono mosse dal vento rendono l’intensità del flusso di fotoni aleatoria. La pianta, che vive di luce, si adatta ad usare il livello di luce giudicato “sicuro e riproducibile giorno per giorno” e scarica nell’ambiente sotto forma di calore l’energia in più rispetto a tale livello. Quando l’interruttore LHCSR1 viene inattivato con una mutazione, le piante soffrono e la loro produttività viene inibita. Sapere di più su come funziona questa proteina potrebbe permettere agli scienziati di modificarla per indurre un livello di fotosintesi più alto nelle piante aumentando la biomassa prodotta per farne cibo o bio-combustibili. Questa possibilità è stata già dimostrata nel caso delle alghe verdi dal laboratorio di Verona”.