Susanna Camusso e i dirigenti CGIL hanno ottenuto quello che andavano cercando.
Con il Jobs Act il Governo Renzi ha ridimensionato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e la Camusso, dopo aver fortemente criticato il provvedimento legislativo, non poteva non reagire, pena la perdita della già poca credibilità con i propri iscritti. Così è partita la raccolta firme per richiedere il referendum abrogativo: la chiamata alle armi.
Il quesito referendario poteva sembrere scontato: abolire il capoverso che elimina l’art. 18.
Tutti sanno che il referendum è solo abrogativo e che di conseguenza non sono ammissibili forme surrettizie di legislazione. Invece viene presentata la richiesta di estendere i benefici dell’articolo da ripristinare anche alle aziende con 5 dipendenti, diversamente dai 15 previsti in precedenza. In sostanza una palese modifica di un articolo di legge. Quindi che il referendum sarebbe stato bocciato lo sapeva anche un ragazzetto con un minimo di cultura e di logica.
E allora? Sorge il legittimo dubbio che l’obbiettivo fosse proprio quello di redigere un quesito inammissibile. Perché?
In CGIL sanno perfettamente che l’articolo 18 è stato solo un feticcio ideologico che, lungi dal proteggere i lavoratori, forse qualche sindacalista, è stato solo un disincentivo alle assunzioni.
Allora ipotizziamo che al referendum la vittoria vada al si. Vince la CGIL, l’articolo viene reintegrato e, per mille ragioni comprese quelle di natura congiunturale, le assunzioni, ancora poche ma continue, si bloccano e la disoccupazione torna ad aumentare.
Di chi è la responsabilità? Domanda retorica: della CGIL e della sinistra-sinistra!
Così vince la retorica, l’ideologia senza sostanza. Per gli altri due quesiti la partita diventa senza storia: senza la parte inerente l’articolo 18, un referendum sui vouchers e sulla corresponsabilità avrebbe la possibilità di sfiorare il 25% del quorum e quindi non si corre il rischio di vincere e di dover trovare le modalità di ritorno al “nero” per sostituire il milione di euro speso nei vouchers.
In estrema sintesi Susanna Camusso e i suoi collaboratori hanno fatto bella figura con i loro iscritti, ma non concluderanno nulla, come esattamente volevano.