L’autore presenterà il libro “Sono puri i loro sogni” alla scuola “G. Pascoli” di Poiano (VR) il giorno 24 gennaio alle ore 20.45. L’incontro è stato organizzato con la collaborazione delle Associazioni del territorio e l’I.C. 16.
Matteo Bussola (Verona, 1971) nella sua vita passata era architetto. A trentacinque anni ha deciso di cambiare tutto. Oggi fa il papà di Virginia, Ginevra e Melania. Per lavoro disegna fumetti, e quando è in debito d’ossigeno scrive. “Notti in bianco, baci a colazione”, il suo primo libro (Einaudi Stile Libero 2016), ha avuto una grande accoglienza ed è stato tradotto in molti Paesi. Sempre per Einaudi Stile Libero, ha pubblicato “Sono puri i loro sogni” (2017). Tiene una rubrica settimanale su “Robinson”, l’inserto culturale de “La Repubblica”, dal titolo “Storie alla finestra”.
Non fa sconti ai genitori il libro-lettera di Bussola che con lucidità ed aneddoti analizza ed esplode i comportamenti genitoriali nell’affrontare il percorso del distacco dai propri figli nell’iniziazione pre-scolastica e scolastica. Si deve dare atto che l’autore non si pone su un piedistallo, anzi, si identifica come parte del problema. Sarebbe stato coraggioso se l’analisi-racconto dell’impeccabile osservatore genitore Bussola avesse descritto con maggiore profondità i problemi e le criticità dei docenti e della scuola. Perchè una cosa è certa le responsabilità abitano da entrambe le parti. Probabilmente il prossimo libro-lettera sarà indirizzato ai docenti.
Nel libro, ben scritto, molto scorrevole e che si legge facilmente, Matteo Bussola pone l’accento sull’ostilità in corso tra genitori e docenti, tra famiglia e scuola e cerca di analizzarla e raccontarla con toni dolci e teneri ma anche significativi. Mai arrogante, ma sempre arrendevolmente positivo. “Perchè siamo diventati così?” chiede Matteo Bussola, il quale quando non capisce qualcosa, se perde la direzione di un ragionamento, si siede davanti ad una pagina bianca e mette in fila le parole come gli diceva sempre la sua maestra Miranda. Così ha fatto, ha iniziato a scrivere da genitore, ecco perché questo libro è una lettera, ecco perché è rivolta ai genitori.
Secondo Matteo Bussola una delle differenze tra la scuola di allora e quella di oggi potrebbe essere riassunta in queste due semplici immagini. Siamo passati da un mondo in cui i genitori stavano a una giusta distanza, a uno in cui i genitori stanno troppo vicini. Da portare i figli a scuola, ai figli che portano a scuola noi. Vogliamo delegare l’educazione ma al contempo non sappiamo se lo vogliamo davvero. Vogliamo vedere, vigilare, farci sentire. La nostra costante presenza parte dal primo giorno ed è il risultato di una genitorialità che interpreta troppo spesso l’amore un mettersi davanti, nel tentativo li proteggere ciò che abbiamo di più prezioso. Perché i figli sono nostri. Perché nei nostri figli riviviamo noi.
Nella scuola di 20 anni fa Nessuno si sarebbe mai sognato di discutere di un docente men che meno la sua condotta. Nessun genitore si sarebbe mai azzardato contestare un voto ricevuto dal figlio, rimprovero subito in classe. Secondo Matteo Bussola tale comportamento non era giusto ma era rassicurante perché le gerarchie erano cristalline, gli insegnanti stimati, gli studenti erano consapevoli che erano arrivati lì per imparare e tali cose erano chiare per tutti. Insomma una scuola di modello “unidirezionale” oggi sociologicamente impraticabile.
Per Matteo Bussola i genitori di oggi, che dovrebbero essere un ponte fra i figli e la scuola, si trovano sempre più di frequente a rappresentare un ostacolo che ingombra quel passaggio che dovrebbe garantire ai bambini di spostarsi dalla famiglia alla classe, e viceversa, senza scossoni.
L’analisi di Bussola mette in evidenza che tra gli anni della nostra infanzia e quelli odierni c’è stata una profonda evoluzione del ruolo di genitore con le correlate responsabilità conseguenti. La pedagogia è diventata sempre più accessibile, nelle scuole sono entrati gli psicologi, i neuropsichiatri infantili, i POFT, i BES, l’autovalutazione dei docenti, e la famigerata INVALSI.
Per l’autore-genitore la società si è complicata la vita e la scuola vi si è modellata attorno per causa nostra in quanto l’abbiamo lasciata fare. Ottenendo conseguentemente una scuola su misura infarcita di troppe regole, cavillosità, limiti, eccessi di precauzioni che ci schiacciano e alimentano una sensazione di claustrofobia di un’istituzione quasi ostile che pensa a garantire soprattutto se stessa perché ci percepisce ormai come una minaccia che non parla più con i genitori, che non comprende e non capisce le loro frustrazioni ed i problemi sociali.
Il problema che nasce dal pericoloso dualismo famiglia-scuola, secondo l’autore, è che senza accorgersene i genitori stanno trasferendo questa visione ai figli che contaminiamo con i loro discorsi di sfiducia nell’istituzione scolastica, non è quindi strano che anche gli studenti fanno fatica ad attribuire agli insegnanti autorevolezza e rispetto.
Ma perché i genitori sono così arrabbiati con gli insegnanti? La riposta di Matteo Bussola risiede nei sensi di colpa che dominano ed abitano nei genitori, chi più chi meno. In tal senso la riflessione antropologica di Bussola è pressoché chirurgica. Il senso di colpa perché non vediamo l’ora di avere i figli fuori di casa per otto ore così che sia possibile lavorare in modo da poter mantenere quegli stessi figli con i quali non abbiamo mai il tempo di stare. Il senso di colpa che emerge nel genitore quando ogni mattina deve affrontare il distacco lasciando i propri figli piangenti alla scuola (o nido) mentre pensa che questo mondo sembra costruito con le priorità capovolte. E lì che scatta la rabbia nei confronti di quelli che hanno a che fare con i figli al posto nostro perché ci rubano ciò che ci spetterebbe di diritto ma sul quale non abbiamo più alcun controllo nessuna scelta. Chi è genitore ed ha vissuto l’esperienza sa che le parole di Matteo sono drammaticamente vere. E’ proprio cosi.
Una delle criticità che la scuola fa emergere, causa della nostra diffidenza, è che spesso il percorso e l’ambiente scolastico evidenziano che i figli non sono solo quelli che crediamo noi a casa. Magari sono bravi e buoni, ma in classe, in mezzo agli altri, possono scoprirsi irrequieti, indisciplinati, addirittura prepotenti. Il loro processo di crescita è un continuo tradimento tutto delle nostre aspettative. E tutto ciò genera frustrazione nei genitori che non possono fare a meno di dare la colpa e responsabilità alla scuola, colpevole dell’alterazione filiale.
Il “buonismo” di Matteo Bussola non si sottrae ad una, veloce ed educata, critica quando afferma che anche la scuola ha le sue responsabilità. Perché se non tutti i genitori sono irrispettosi o aggressivi, non tutti gli insegnanti sono integerrimi. Esistono all’interno dell’istituzione scolastica delle zone d’ombra che andrebbero illuminate meglio, dice l’autore. Ci sono docenti stanchi e disillusi che tirano solo a campare e alcuni che nutrono pregiudizi verso i genitori, alimentando involontariamente (o volontariamente) in questi ultimi la fondatezza della loro diffidenza.
Inoltre come esistono documentate vessazioni di genitori nei confronti dei maestri, esistono parimenti purtroppo vessazioni e esplicite violenze compiute dei maestri nei confronti degli alunni, che rendono per madri e padri legittimo vigilare con attenzione sul comportamento degli insegnanti alimentando una spirale di diffidenza generata dai molti episodi scoperti negli ultimi anni, fino ad ipotizzare a livello legislativo l’installazione delle telecamere nelle scuole.
Inoltre l’autore auspica una riforma seria della scuola che comprende un minimo di organizzazione dei tre mesi estivi e una ridistribuzione di attività scolastiche in quanto al momento la scuola funziona in maniera anacronistica rispetto alle esigenze di tutti.
Alla fine Bussola rimette la palla al centro giustificando l’invasione di campo genitoriale nella scuola, evidenziando che se da un lato abbiamo genitori che entrano sempre di più dentro la scuola con le loro esigenze, dall’altro abbiamo una scuola che entra sempre più nelle famiglie con le sue richieste sulla gestione del tempo dei figli.
La breve ricognizione che Matteo Bussola fa di questo libro dal mero punto di vista di un padre vuole essere una piccola testimonianza di criticità che certo non riguarda tutti i genitori. Bussola non è un pedagogo, né uno psicologo, non è un esperto di didattica. E’ però un buon osservatore, (per nascita o per necessità). Il libro non conclude con una risposta ma con molte domande che offrono possibili spunti per affrontare il problema attraverso un piccolo ribaltamento di prospettiva. Quali sono? Acquistate il libro, leggetelo e lo scoprirete.
“Sono puri i loro sogni” è un libro che nasce e si sviluppa con la dolcezza, la preoccupazione e la cura di un padre affettuoso e presente (vi innamorerete dopo aver letto le pagine 20-21 e 108-109). L’autore, consapevole di determinate dinamiche e disposto a rovesciarle con l’aiuto di chi sa ascoltare e a lavorare su sé stesso, prima di mettere in discussione il lavoro altrui (insegnanti), lancia un sincero ed accorato appello ai genitori. Il libro ha riscosso un grande successo da parte del pubblico, non sappiamo però se ad acquistarlo sono stati solo i genitori od anche gli insegnanti.
Alberto Speciale
P.S.: per gli appassionati e cultori di letteratura il titolo “Sono puri i loro sogni” deriva da una poesia del poeta russo Iosif Brodskij “Odisseo e Telemaco” in cui nella strofa finale il padre Odisseo al rientro da un lungo viaggio dice al figlio Telemaco:
[…]
“Ma forse ha fatto bene: senza me
dai tormenti di Edipo tu sei libero,
e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.”
Odisseo a Telemaco – Iosif Brodskij
Telemaco mio,
la guerra di Troia è finita.
Chi ha vinto non ricordo.
Probabilmente i greci: tanti morti
fuori di casa sanno spargere
i greci solamente. Ma la strada
di casa è risultata troppo lunga.
Dilatava lo spazio Poseidone
mentre laggiù noi perdevamo il tempo.
Non so dove mi trovo, ho innanzi un’isola
brutta, baracche, arbusti, porci e un parco
trasandato e dei sassi e una regina.
Le isole, se viaggi tanto a lungo,
si somigliano tutte, mio Telemaco:
si svia il cervello, contando le onde,
lacrima l’occhio – l’orizzonte è un bruscolo -,
la carne acquatica tura l’udito.
Com’è finita la guerra di Troia
io non so più e non so più la tua età.
Cresci Telemaco. Solo gli Dei
sanno se mai ci rivedremo ancora.
Ma certo non sei più quel pargoletto
davanti al quale io trattenni i buoi.
Vivremmo insieme, senza Palamede.
Ma forse ha fatto bene: senza me
dai tormenti di Edipo tu sei libero,
e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.
(1972, traduzione di Giovanni Buttafava)