Nella sentenza n.2034 del 31 luglio 2024 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto ha ritenuto corretta la richiesta del Comune di Verona di assoggettare al parere di compatibilità paesaggistica alla Soprintendenza il PUA “San Rocchetto” a Quinzano
La controversia verte sull’atto con cui il Comune di Verona ha assoggettato il PUA “San Rocchetto” a Quinzano, di cui le società ricorrenti, Immobiliare Eureka Srl e Sar.Mar. SpA, sono proprietarie di aree all’interno del relativo ambito, al parere della Soprintendenza di Verona, ritenendo l’assoggettamento a tale parere un obbligo ex lege (artt. 16 e 28 della L. n.1150/1942).
Le ricorrenti hanno, in particolare, impugnato l’atto con cui il Comune di Verona ha richiesto alla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza il parere di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 16 e 28 L. 1150/1942, per il PUA denominato “San Rocchetto” a Quinzano, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
Con memoria le ricorrenti hanno chiesto un rinvio della causa, motivata dall’opportunità di attendere l’approvazione del nuovo PUA, che potrebbe determinare l’abbandono del contenzioso, non accolta dal TAR in quanto nel processo amministrativo vengono in rilievo interessi pubblici, la cui composizione e tutela non rientra nella libera disponibilità delle parti. Sul piano processuale ciò comporta che una volta che il Giudice sia stato investito della decisione del ricorso non vi è una norma giuridica o un principio di diritto che attribuiscano alla parte ricorrente il diritto al rinvio della discussione del ricorso.
Un eventuale rinvio potrebbe trovare fondamento solo in gravi ragioni idonee a incidere sul diritto di difesa costituzionalmente garantito, ovvero su questioni pregiudiziali in senso tecnico la cui cognizione sia attribuita a giudici diversi, evenienze queste che non si verificano nel caso all’esame.
Nel merito, per i giudici amministrativi veneziani, il ricorso proposto avverso la decisione del Comune di Verona di assoggettare a parere di compatibilità paesaggistica il PUA “San Rocchetto”, adottato per silenzio assenso a seguito della sentenza del T.A.R. Veneto n. 453/2019, è infondato per le seguenti considerazioni di seguito sinteticamente esposte.
Con sentenza n. 68/2018, la Corte costituzionale – chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 56, comma 14, della legge regione Umbria n. 1/2015, secondo cui ”…Il comune trasmette alla Soprintendenza il parere della commissione unitamente agli elaborati del piano attuativo adottato, corredati del progetto delle opere di urbanizzazione e infrastrutturali previste, nonché della documentazione di cui al comma 3, dell’articolo 146, del d.lgs. 42/2004 relativa a tali opere…” – ha delineato la differenza tra il parere obbligatorio previsto dagli articoli 16 e 28 della legge urbanistica sui piani attuativi e l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146, comma 5, del decreto legislativo 42/2004.
In tale sentenza la Corte ha chiarito che, con riguardo agli interventi nelle zone vincolate, il Comune deve richiedere alla soprintendenza dapprima un parere sul piano attuativo, con esclusivo riguardo alle opere di urbanizzazione e infrastrutturali ivi programmate, al fine di verificare la compatibilità del programma con l’interesse paesaggistico, e successivamente un parere preliminare al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, inerente alla realizzazione dei singoli interventi edilizi rientranti nell’ambito del piano.
Il piano attuativo, prosegue la Consulta, ha la medesima funzione del piano particolareggiato e cioè quella di rendere esecutive le previsioni generali di uno strumento urbanistico generale, quale il PRG, ed è assoggettato al parere prescritto dall’art. 16, comma 3, della Legge n. 1150/1942, la cosiddetta “legge urbanistica”. Quest’ultimo articolo, infatti, dispone che «[i] piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente soprintendenza ovvero al Ministero della Pubblica Istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro dei lavori pubblici». Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo tale norma la soprintendenza è chiamata a valutare la compatibilità del programma di interventi oggetto del piano con i valori paesaggistici espressi dal territorio preso in considerazione, e dunque riguarda solo ciò che del piano attuativo è oggetto essenziale, come, ad esempio, le opere di urbanizzazione.
Nel disegno tratteggiato dal legislatore statale emerge con chiarezza che l’intento perseguito, ovvero di assicurare la massima tutela dei valori paesaggistici coinvolti in un programma di interventi edilizi da realizzare nelle zone vincolate, è realizzato mediante la previsione di un primo parere della soprintendenza circa la generale compatibilità paesaggistica del piano degli interventi programmati sul territorio in questione, in attuazione del PRG, costituito dall’insieme delle opere di urbanizzazione e delle infrastrutture, opere il cui impatto potrebbe realmente incidere sui valori paesaggistici espressi dal territorio preso in considerazione. Inoltre, il suddetto intento si realizza tramite l’imposizione di un ulteriore parere della soprintendenza in relazione ai singoli interventi, in un’ottica di valutazione della coerenza del concreto intervento edilizio o urbanistico con il pregio riconosciuto all’area destinata ad accoglierlo. Si tratta di provvedimenti diversi (l’uno inerente alla generale compatibilità paesaggistica dell’insieme degli interventi urbanistici ed edilizi rilevanti programmati; l’altro relativo alle concrete caratteristiche del singolo intervento e alle modalità esecutive dello stesso e alla loro coerenza con i valori paesaggistici dell’area), ma strettamente connessi in quanto tesi ad un unico fine, che tanto più puntuale e dettagliato è il giudizio di compatibilità paesaggistica reso in sede di approvazione del piano attuativo, tanto più ridotti sono i margini di ulteriore valutazione che è consentito svolgere con riguardo ai singoli interventi rientranti nel piano stesso.
Per il TAR, pertanto, il Comune di Verona ha correttamente richiesto il parere alla Soprintendenza dopo l’adozione del piano attuativo e segnatamente dopo la pubblicazione del PUA, a seguito della sentenza del T.A.R. Veneto n. 453/2019, con la quale era stata accertata la formazione del silenzio assenso in ordine all’adozione del piano.
Tale richiesta risulta, anzi, particolarmente appropriata nel caso di specie proprio perché il piano è stato adottato con il meccanismo del silenzio assenso, senza che siano state formulate valutazioni espresse nel merito dell’inserimento paesaggistico della proposta avanzata, e non può essere in alcun modo qualificata come un ingiustificato aggravamento del procedimento.
Quanto alla nota della Soprintendenza, in cui la stessa ha affermato di non potersi pronunciare in quanto il piano sarebbe stato già approvato, essa deve ritersi idonea a comportare alcun effetto vincolante per il Comune; ciò in quanto, con tale determinazione (che si fonda su un equivoco in quanto in realtà il piano non è stato approvato ma solo adottato) la Soprintendenza ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di parere per motivi procedimentali senza esercitare i propri poteri in materia paesaggistica.
Non vi sono elementi per ritenere che il parere per cui è causa sia stato richiesto dal Comune al fine di impedire, arrestare o ritardare l’intervento edificatorio in esame né dagli atti emerge alcun intento discriminatorio.
Per le suesposte considerazioni il ricorso è stato rigettato dai giudici.
Alberto Speciale