Lavorano a tempo pieno nelle università, ma non hanno rinunciato all’attività privata. E per questo dovranno adesso risarcire lo Stato versando nelle casse delle strutture pubbliche quanto hanno illecitamente guadagnato. Sono 411 i docenti universitari di Ingegneria, Architettura e Chimica finiti sotto inchiesta in tutta Italia. È questo il nocciolo dell’inchiesta della Guardia di Finanza (“Progetto Magistri”) che scoperchia una prassi assai diffusa nel mondo accademico, un vero e proprio “sistema” in totale violazione del principio del rapporto di lavoro in esclusività con la Pubblica amministrazione previsto dall’articolo 53 del Decreto Legislativo 165 del 2001.
Così dopo le decine di segnalazioni alla Corte dei Conti e in alcuni casi anche alla magistratura ordinaria, a cui sono seguite le prime condanne già emesse dai giudici contabili, si è deciso di effettuare controlli a tappeto nei principali atenei proprio per verificare il rispetto di quella legge che impone a chi sceglie il lavoro a tempo pieno di garantire un impegno di 350 ore e quindi il divieto a svolgere ulteriori attività ma anche ad accettare incarichi presso la pubblica amministrazione. Un’attività sollecitata dallo stesso presidente della Corte nel discorso di avvio dell’anno giudiziario quando ha evidenziato i risultati positivi per l’Erario ottenuti grazie a questo tipo di verifiche.
Il record del doppio lavoro spetta alla Lombardia con 60 casi, seguita da Campania con 49 e Lazio con 38. E quale sia l’entità del danno si comprende dalle prime contestazioni: 42 milioni di euro già richiesti a 172 professori. Sotto accertamento sono finiti i professori delle facoltà di Ingegneria e Architettura di tutta Italia, ma è solo l’inizio, anche tenendo conto che entro qualche settimana le verifiche saranno ampliate alle facoltà di Economia, Medicina e Giurisprudenza. In particolare modo saranno osservati i commercialisti che vengono scelti come docenti presso le facoltà di Economia, ma in molti casi rimangono spesso impegnati anche in attività private soprattutto per quanto riguarda le prestazioni alle aziende.
I controlli già pianificati riguardano tutte le Regioni italiane è stato effettuato un lavoro di analisi della documentazione custodita presso le università e adesso si procede con le contestazioni. Il meccanismo è uguale ovunque: il docente si impegna a svolgere le proprie mansioni in esclusiva, tranne casi eccezionali che devono essere comunque autorizzati, e dunque a totale disposizione degli studenti, ma in realtà accetta incarichi privati molto ben remunerati e addirittura in altre aziende statali.
L’elenco dei docenti da controllare è stato compilato dopo una serie di verifiche effettuate grazie al controllo delle partite IVA, ma soprattutto delle ore effettivamente garantite all’insegnamento e soprattutto a quelle attività necessarie per gli studenti come i corsi di formazione, la ricerca e l’aggiornamento scientifico, l’orientamento, il tutoriato e la verifica dell’apprendimento. Compiti che i professori hanno invece eluso proprio per dedicarsi al secondo lavoro. E senza rispettare quelle disposizioni della legge che invece appaiono fin troppo esplicite.
Secondo la normativa il professore a tempo pieno “può svolgere perizie giudiziarie e partecipare a organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato purché prestate in quanto esperto nel proprio campo e in assolvimento dei propri compiti istituzionali“.
Ora le Università ora dovranno vedersi restituire i soldi che sarebbero stati illecitamente percepiti dai professori e, forse, scopriremo se qualcuno pur sapendo ha taciuto coprendo omertosamente il sistema.
Ci saranno terremoti nell’ateneo veronese?
Alberto Speciale