Individuate le molecole “maligne” che caratterizzano le forme più aggressive di Sclerosi multipla. Grazie a ciò sarà presto possibile personalizzare le cure, scegliendo le terapie più efficaci fin da subito per i pazienti con una patologia più aggressiva massimizzando così le possibilità di successo terapeutico.
La scoperta, confermata da uno studio durato 4 anni su 99 pazienti, è stata pubblicata sulla rivista Annals of Neurology dell’American Academy of Neurology ed è frutto del lavoro condotto dai ricercatori dell’università di Verona, coordinati da Massimiliano Calabrese, docente di Neurologia del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, che ha lavorato in collaborazione, tra gli altri, con Roberta Magliozzi, prima firma della ricerca, e con Francesca Benedetta Pizzini e Stefania Montemezzi dei reparti di Radiologia dell’Azienda ospedaliera integrata. A rendere possibile il lavoro anche la collaborazione con Antonio Scalfari dell’Imperial College di Londra, con l’Istituto superiore di sanità, con l’università di Padova e con il Centro Sclerosi multipla di Brescia.
La ricerca intitolata “Il profilo liquorale correlato al danno corticale predice l’attività futura della Sclerosi multipla” si è sviluppata grazie a un nuovo protocollo di analisi molecolare del profilo liquorale combinato all’esecuzione di una risonanza magnetica ad alto campo, effettuata al momento della diagnosi di Sclerosi multipla. Lo studio ha seguito 99 pazienti affetti da Sclerosi multipla per 4 anni per confermare l’ipotesi che la presenza di queste molecole “maligne”, già oggetto di pubblicazione da parte del team guidato da Calabrese nel 2018, caratterizzasse le forme più aggressive.
“Abbiamo prima identificato alcune molecole infiammatorie “maligne” presenti nel liquido cerebro-spinale, prelevato normalmente per la diagnosi della malattia, dei pazienti affetti da Sclerosi multipla con una forma “aggressiva di malattia” e quindi ad alto rischio di un rapido accumulo di disabilità”, spiega Calabrese. “Grazie all’aiuto di Chiara Romualdi, docente di Biologia molecolare all’università di Padova e di Anna Isabella Pisani, dottoranda nell’ateneo scaligero, abbiamo quindi creato un modello matematico che basandosi sulla presenza o assenza di queste molecole è stato in grado di predire con quasi il 90% di accuratezza l’attività della malattia e quindi l’accumulo di disabilità nei 4 anni successivi. L’accuratezza del nostro modello nel predire l’andamento della malattia conferma che le molecole identificate sono quelle corrette e ne apre la strada alla loro applicazione nella pratica clinica fin da subito. La scoperta consentirà, quindi, al neurologo di “personalizzare” la terapia scegliendo quella più giusta fin dalla diagnosi.
La Sclerosi multipla è una malattia infiammatoria demielinizzante e neurodegenerativa che porta ad un danno progressivo a carico del sistema nervoso centrale. Per molti anni è stata considerata una malattia della “mielina” del sistema nervoso centrale, tuttavia un numero crescente di studi ha dimostrato anche un coinvolgimento dei “neuroni” stessi. Nel mondo si contano circa 3 milioni di persone con Sclerosi multipla, di cui 600.000 in Europa e circa 122.000 in Italia con circa 3400 nuovi casi ogni anno. In particolare, solo in Veneto si contano oltre 8000 persone affette da SM: si stima che solo in questa regione, nel 2019, siano state fatte circa 300 nuove diagnosi. Nel 2019 il costo medio per persona con Sclerosi multipla, a carico del sistema sanitario nazionale, si aggirava intorno ai 45 mila euro.