#piccolospaziopubblicità – Ancora pochi giorni e le statuine del presepe torneranno a riposare nella loro scatola, dopo essere state protagoniste delle feste: simboli religiosi o gadgets alla stregua delle renne e delle befane. Ognuno è libero di vivere il Natale a suo modo: nell’intimità della famiglia e alla luce delle candele o nell’euforia collettiva, sotto i riflettori, ma che il senso della ricorrenza, da tempo, si sia diluito nei rivoli del consumismo, non è retorica, è un dato di fatto. Anche questo passaggio da sacro a profano può essere gestito, comunque, con un buon gusto e buon senso di assoluto spirito laico: scomodare il presepe per promuovere le vendite immobiliari suona oggettivamente sgradevole in uno spot in circolazione. Cosa non funziona? Manca una sufficiente, intelligente ironia nello scambio di battute fra gli attori, per giustificare l’uso di un’immagine così iconica. Il vestito confezionato è di troppe taglie più piccolo rispetto a chi deve indossarlo. E il risultato non fa ridere, non fa sorridere, lascia perplessi. Ma #èsololamiaopinione #keepcalm and remember #Voltaire
L’origine del presepe – La rappresentazione della nascita di Gesù, usanza inizialmente italiana e poi diffusasi in tutti i paesi cattolici, ha avuto il suo ideatore in San Francesco, che nel 1223 allestì a Greccio la rievocazione vivente dell’episodio evangelico, dopo aver avuto l’autorizzazione da papa Onorio III e sulla scia di un recente viaggio in Palestina, ove aveva visitato Betlemme. Tommaso da Celano, cronista della vita del poverello di Assisi, così tramandò la scena: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme».