Ministero della Salute e Ministero dell’Ambiente. Stesso problema risposte differenti. E i cittadini ?.
Dopo il braccio di ferro sui vaccini, è di nuovo scontro tra Regione Veneto e Ministero della Salute. Stavolta il motivo del contendere sono le PFAS, le sostanze chimiche frutto della lavorazione della plastica che hanno inquinato 21 Comuni tra le province di Vicenza, Verona e Padova.
La Regione ha imposto limiti rigidi per lo sversamento nelle acque di scarico e potabili ma poiché il problema non interessa solo il Veneto, in quanto le stesse sostanze sono state rintracciate in Lombardia, Toscana ed Emilia nel 2013, e con una lettera firmata lo scorso 12 maggio dal direttore generale della Sanità del Veneto ha chiesto al Governo di imporre soglie stringenti su tutto il territorio nazionale. Il motivo?. “Diversi monitoraggi in atto evidenziano una potenziale sovraesposizione per parti o gruppi di popolazione, con probabili effetti dannosi sulla salute”, si legge nella missiva.
La risposta è arrivata il 19 settembre ed è un grosso “NO”.
“Non si ritiene condivisibile la proposta avanzata da codesta Regione — scrive Raniero Guerra, direttore generale della Prevenzione per il Ministero della Salute — anche in considerazione del fatto che l’Istituto superiore di Sanità ha segnalato che le valutazioni preliminari sinora effettuate sul pericolo di contaminazione da Pfas, sia per produzioni industriali pregresse sia per potenziali contaminazioni civili e industriali, non hanno evidenziato significative criticità”. E ancora: “L’ISS ha confermato che i valori di riferimento health based (relativi alla salute, n.d.r. ) sono caratterizzati da un elevato livello d’incertezza» e quindi: “i valori che codesta Regione riterrà opportuno adottare dovranno essere ritenuti provvisori, in funzione di possibili ulteriori ottimizzazioni delle tecnologie di trattamento, delle attese riduzioni dei carichi inquinanti sulle risorse idriche, come pure in funzione dell’aggiornamento sulle analisi di rischio e della definizione di limiti health based da parte di autorità sovranazionali, le cui definizioni sono tuttora in corso”».
Una doccia gelata per Palazzo Balbi, già alle prese con almeno 12 ricorsi presentati da altrettante aziende che contestano l’”eccesso di potere” proprio in virtù di quei limiti, nel resto d’Italia più blandi se non addirittura inesistenti. L’ultimo ricorso è stato depositato lunedì (18 settembre) dalla Miteni, l’azienda di Trissino ritenuta responsabile dell’inquinamento della falda nei 21 Comuni di “area rossa”, che ha chiesto una sospensiva urgente di tali parametri relativamente alle PFAS a catena corta.
“In sostanza il Governo ci dice che le PFAS si usano solo qui, che il problema nel resto del Paese non esiste e quindi di arrangiarci”, commentano gli Assessori all’Ambiente, Gian Paolo Bottacin, e alla Sanità, Luca Coletto. I quali minacciano di arrangiarsi veramente appena il governo corrisponderà alla Regione gli 80 milioni promessi in campagna elettorale e mai visti per intervenire sulle fonti di approvvigionamento e sugli acquedotti. Progetti già pronti, con una doppia valenza: ambientale e di prevenzione sanitaria. “In tutto ciò non si può non evidenziare la mancanza di comunicazione tra ministeri: mentre quello della Salute ci dice che il problema non esiste, quello dell’Ambiente chiede alle Regioni di attivare Piani di monitoraggio sulle PFAS”, aggiungono gli Assessori.
L’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche (PFAS, PFOS, PFOA, PFBS, PFPEA, PFHxA) salite alla cronaca come PFAS, è stato rilevato da tempo in più parti d’Italia come dimostrano le tabelle prodotte nella ricerca del C.N.R. che evidenziò il problema, e le note del Ministero dell’Ambiente del 18 maggio 2017, nella quale si indica a tutte le Regioni di attivare Piani di Monitoraggio, e del 23 agosto successivo, nella quale il Ministero sollecita le Regioni a farlo. Per contro il Ministero della Salute ci dice ufficialmente, con nota del Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria, che il problema di fatto esiste solo in Veneto e che non si ritiene di fissare limiti di performance nazionali. La vistosa discrasia di valutazione che emerge tra i due Dicasteri è quanto meno preoccupante.
“Dallo studio C.N.R. forme di inquinamento di questo tipo sono state rilevate in concentrazioni più alte nelle aree industriali del Bormida e nel Bacino del Lambro, oltre che, come arcinoto, in Veneto. Se l’impianto fluorochimico Trissino è la maggior sorgente individuata, un’altra sorgente significativa è l’area della concia di Santa Croce sull’Arno. Interessata è anche praticamente l’intera asta del Po, con la sorgente più significativa nel sottobacino Adda-Serio e con carichi da Torino a Ferrara. Per quanto riguarda i PFOA, Trissino è in buona compagnia con l’area degli impianti chimici piemontesi di Spinetta Marengo”.
E’ innegabile che di fronte a questo quadro, e alle iniziative del Ministero dell’Ambiente risulta sempre più incomprensibile l’atteggiamento del Ministero della Salute, che non ritiene necessario fissare limiti nazionali.
Alberto Speciale