Terminata la sezione prosa, l’Estate Teatrale Veronese prosegue con la danza e dal 25 al 30 luglio e dall’1 al 6 agosto ospita i Momix, con la riproposta di uno dei loro capolavori: “Opus Cactus”, quindici anni dopo la “prima” europea che ebbe luogo proprio al Teatro Romano. Era il 2 agosto 2001 e i Momix tornavano in quel suggestivo scenario per la quarta volta in otto anni, attesissimi e corteggiatissimi dalla stampa. “Sette”, il settimanale del Corsera, titolava su due pagine “Noi balliamo con i cactus”, la “prima” si trasformò in un grande evento anche per la critica e per la stessa Verona, meritevole di avere (fuori dagli States) tenuto a battesimo questo spettacolo che a Roma e a Milano fu possibile vedere solo mesi dopo. “Opus Cactus”, andato in scena trionfalmente al Joyce Theater di New York nel febbraio 2001, giungeva al Teatro Romano dopo “Passion” (1994), “Baseball” (1995) e “Happy birthday!” (2000).
«“Opus Cactus” – riferiva entusiasta la stampa americana – mette in scena poeticamente il deserto del Sudovest degli Stati Uniti, quello che dall’Arizona sconfina in California. In origine si trattava di una corta pièce commissionata a Pendleton dall’Arizona Ballet, compagnia di cui Moses era stato più volte coreografo ospite. Poi, aggiunta dopo aggiunta, la pièce è assurta a vero e proprio balletto. Grazie ai costumi di Phoebe Katzin i ballerini sono di volta in volta lucertole, scorpioni, serpenti del deserto, nonché variopinte specie di flora e fauna. Sul palco, gli effetti luce creati da Joshua Starbuck mostrano un deserto ora nell’accecante luce del giorno e ora nel blu notte degli stellati con la luna, in un susseguirsi di poetiche albe e tramonti rosso fuoco. I dieci ginnasti-ballerini, cinque uomini e cinque donne sembrano sfidare – come sempre nei balletti di Pendleton – le leggi della gravità: volano, saltano, rimbalzano, si librano su alti pali, roteano intorno a una struttura metallica che sembra disarticolarsi per poi ricomporsi, attraversano la scena come fulmini su minuscoli skateboard, compiono un rituale iniziatico per mezzo del fuoco, e altro ancora, sempre ai limiti della fisicita. L’accompagnamento musicale spazia da Bach a Brian Eno (The Drop), dai Dead can Dance (The Serpent’s Egg) a Peter Buffet (Spirit Dance), da danze tribali degli indiani d’America a brani di altre culture “desertiche” come quella degli aborigeni australiani».
Furono nove serate sold out, caratteristica che, peraltro, accompagna invariabilmente le performances dei Momix, dunque caccia al biglietto e buona serata!
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