Stamattina, l’associazione Uni Info News, con il patrocinio del Comune, ha organizzato un incontro dalla sala del Grande Rettile del Museo della Città, intitolato “C’era una volta il Pci. Viaggio attraverso la storia del più importante partito comunista dell’Occidente”. Come accaduto per altri avvenimenti cari alla sinistra, vi è una sorta di sospensione speciale di alcune regole imposte dalla pandemia, perché c’è qualcosa di “metafisico” che deve essere per forza onorato, cascasse il mondo e alla faccia del “vairus”: la nascita del PCI con questa bolsa ed ammuffita retorica, come un processo di beatificazione laico. Il social-comunismo, oggi divenuto globalismo, è una religione coi suoi riti, cui non ci si può sottrarre.
Spiega l’Assessore alla cultura Lenzi a “Repubblica”: “I primi eventi saranno simbolici, data la difficoltà in questa fase di emergenza sanitaria di inaugurare grandi mostre che potrebbero chiudere dopo pochi giorni, e data l’impossibilità di usare cinema e teatri, purtroppo ancora chiusi al pubblico, per rassegne culturali di ampio respiro. Si tratta comunque di un modo, per ‘segnare il posto’ in attesa del vero grande evento che appunto è programmato per dopo l’estate”. Insomma, a Livorno sanno già pure le date della fine della pandemia, così da poter modulare gli eventi celebrativi su di esse. Che robe!
Pare proprio che il muro di Berlino non sia crollato, che Achille Occhetto non avesse avviato la riforma della sinistra italiana, che il nuovo nome sia solo una facciata per nascondere quell’ideologia “intrinsecamente perversa” – come la definì Papa Leone XIII – che, tra foibe e gulag, non solo privò delle libertà fondamentali, in nome dell’uguaglianza sociale, ma si rese protagonista dell’eccidio di 90 milioni di persone nel mondo.
Lothrop Stoddard, parlando dopo gli sconvolgimenti bolscevichi che avevano ridotto la Russia a un inferno, ha affrontato il tema della degenerazione fisica e mentale come causa di rivolta contro i valori della civiltà, da parte di chi egli definì i “sub-umani” e scrisse: “le atrocità perpetrate da alcuni commissari bolscevichi sono così rivoltanti che sembrano spiegabili solo con aberrazioni mentali, come la mania omicida o quella perversione sessuale nota come sadismo. Nel 1919, ai tempi del Terrore Rosso a Kiev, tre psichiatri esaminarono alcuni di questi leader. La loro diagnosi fu che erano dei degenerati, di mente più o meno malsana. Inoltre, la maggior parte di loro erano degli alcolizzati; la maggioranza di loro era sifilitica, mentre molti assumevano droghe… “( capitolo VI del libro: “Rebellion of the Under-man” pag. 177)
Il sociologo francese Gustave Le Bon notò, nel “The World in Revolt” (New York, 1921) p. 179, che “la mentalità bolscevica è antica quanto la storia. Caino, nell’Antico Testamento, aveva la mente di un bolscevico. Ma è solo ai nostri giorni che questa antica mentalità ha incontrato una dottrina politica per giustificarla. Questo è il motivo della sua rapida propagazione, che ha minato la vecchia scala sociale”.
Se la nostalgia non prevalesse sul retto discernimento e se l’ideologia fosse davvero morta e se Stoddard non avesse ragione, si sarebbe colta l’occasione del centenario del PCI per un sincero e sereno mea culpa da parte di chi sostenne la “primavera di Praga” e, con l’approssimarsi della giornata del Ricordo, si sarebbe potuto approfittare per togliere l’ incredibile onorificenza concessa con decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 54 del 2 marzo 1970, al Maresciallo Tito come “Cavaliere di Gran Croce, decorato di gran cordone, al Merito della Repubblica”. Lui, che fece trucidare migliaia di persone, perché “colpevoli” di essere italiane. In tempi d’ideologia BLM, perché la sinistra non ha sentito il bisogno di liberarsi di questo storico fardello?