Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto con la Sentenza n. 01818/2024 ,depositata ieri, ha respitno il ricorso proposto da Corte San Giuseppe Società Agricola Srl, contro la Regione Veneto per l’annullamento dell’ordinanza di remissione in pristino dello stato dei luoghi a seguito dei lavori di sistemazione agronomica in area boscata nel quartiere di Mizzole realizzati in assenza di autorizzazione. Per i giudici «la normativa vigente in materia ed il consolidato orientamento giurisprudenziale non prevedono la possibilità di procedere con l’accertamento di compatibilità paesaggistica postumo ma esclusivamente con il ripristino»
I giudici amministrativi del Veneto sono stati chiamati a decidere sulla legittimità dell’ordinanza della Regione Veneto con la quale è stato ordinato alla società Corte San Giuseppe Società Agricola Srl la remissione in pristino dello stato dei luoghi per avere effettuato una riduzione di superficie boscata in assenza di qualsiasi autorizzazione per la realizzazione di un vigneto mediante la riprofilatura a gradoni del versante per una superficie complessiva e indicativa pari a circa 3800 mq (0,38 ha), catastalmente censita al Foglio 89 del Comune di Verona, mapp. 138 p, 156 p. Trattasi dell’area sottostante via del Toresin nel quartiere di Mizzole (qui applicazione Si.Gi. Comune di Verona).[le due immagini rappresentano l’area complessiva delle particelle 138 e 156]
Per il TAR, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la ditta proprietaria ha notevolmente modificato il profilo del terreno, realizzando sbancamenti di notevole entità per la realizzazione di due balze di altezza pari a circa 2 m e larghezza di 10-15 m con giacitura pianeggiante e lunghezza di 100-200 m, come risulta dai rilievi effettuati dal Comando di Polizia municipale del Comune di Verona. Trattasi peraltro di sbancamenti abusivi in zona boscata, finalizzati a impiantare un vigneto al posto della vegetazione boschiva, per i quali l’amministratrice della società ricorrente è stata anche condannata penalmente (decreto penale di condanna, non opposto).
Lo stato dei luoghi di cui trattasi, a seguito dell’intervento della ricorrente, è stato modificato in maniera permanente comportando, conseguentemente, un’alterazione dell’assetto idrogeologico del territorio sotteso.
I giudici amministrativi, inoltre, rimarcano che, «indipendentemente dalla modificazione del profilo e dall’alterazione dell’assetto idrogeologico, la sola riduzione di superficie boscata comporta un’alterazione permanente dello stato dei luoghi, per la quale, la normativa vigente in materia ed il consolidato orientamento giurisprudenziale non prevedono la possibilità di procedere con l’accertamento di compatibilità paesaggistica postumo ex art. 167, commi 4 e 5, del D.Lgs. 42/2004, ma esclusivamente con il ripristino (…)».
Non condiviso dal tribunale l’assunto che riguarda la classificazione a bosco dell’area, secondo cui la ricorrente sostiene, che la stessa non possa essere considerata boscata e che dunque l’intervento eseguito non abbia comportato riduzione di superficie boscata, ma che, quest’ultimo, abbia, al contrario, svolto una funzione di recupero e promozione dei valori ambientali preesistenti annientati da anni di incuria che ha, a sua volta, consentito il progressivo avanzamento di colture selvatiche e prive di particolare pregio.
Per il TAR il bosco costituisce specifico oggetto di tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. g) del D.Lgs. 42/2004, il quale prevede che sono di interesse paesaggistico e sono sottoposti tutelati “i territori coperti da foreste e da boschi”.
La circostanza che la vegetazione presente in loco fosse di tipo “infestante” o di scarso pregio è, dunque, indifferente dal punto di vista della tutela paesistica. La normativa in materia non ha, invero, tipizzato le formazioni forestali idonee ad integrare una superficie boscata, ma ha indicato qualunque vegetazione arborea anche associata a quella arbustiva, in qualsiasi stadio di sviluppo, purché avente date caratteristiche dimensionali (di copertura, superficie e larghezza minima), senza escludere quella infestante. E’, altresì, irrilevante che, in passato, le aree in parola siano state coltivate e poi abbandonate, dato che a seguito di tale abbandono si è successivamente instaurato un processo di riforestazione naturale.
Respinto (infondato) anche il secondo motivo di impugnazione. Per la ricorrente nel caso di specie non andava ordinata la rimessione in pristino poiché si rientrerebbe nelle fattispecie disciplinate dall’art. 4 dell’art. 167 del D.Lgs. 42/2004, che consente la sanabilità dell’intervento abusivo a seguito dell’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento realizzato.
La disciplina normativa limita la possibilità di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ai casi previsti dall’art. 167, commi 4 e 5, richiamato dall’art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio. I casi contemplati da dette disposizioni sono tassativi, e si riferiscono tutti a lavori inerenti fabbricati (interventi minori su edifici), sicché non si può far luogo all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nel caso di interventi di alterazione di territori coperti da foreste e da boschi.
Poiché gli artt. 167 e 181 del D. Lgs n. 42/2004 non consentono il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per interventi di riduzione di superficie boscata (disboscamento) ne deriva che l’ordinanza di ripristino ex art. 167, comma 2, costituisce atto dovuto e vincolato, dovendo l’area protetta essere ricostruita nella sua essenza forestale.
La sanzione ripristinatoria è, infatti, prevista come la regola per gli interventi realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica e la possibilità di sanatoria paesistica postuma è ammessa solo nei casi tassativi previsti dall’articolo 167, comma 4, del d.lgs. 42/2004.
L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento.
Ne discende che, in assenza di autorizzazione paesaggistica a supporto degli interventi realizzati (riduzione di superficie boscata), l’Amministrazione Forestale non poteva far altro che procedere all’emanazione di un provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi, attesa la natura vincolata e doverosa dell’atto in questione e l’assenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può in alcun modo legittimare.
Infine, l’attestazione dei territori suscettibili di recupero a fini produttivi deve essere sempre effettuata dalla P.A., preventivamente, su richiesta dell’interessato, e la dichiarazione espressa di “non boscosità” deve precedere l’attività che il privato intende porre in essere sui territori in questione.
Adesso resta da verificare se la società Corte San Giuseppe Società Agricola Srl proporrà ricorso al Consiglio di Stato, in caso contrario dovrà provvedere alla sistemazione dell’area a conclusione di una vicenda che ha visto la commissione degli abusi, accertati dal Comune di Verona, quasi tredici anni fa (11/10/2011)!
Sulla questione degli sbancamenti in collina era intervenuto, all’epoca, più volte il consigliere comunale Michele Bertucco (qui il comunicato).
Alberto Speciale
(foto di copertina estratta d SiGi e relativa al foglio 89, particella 156)