Un intervento di manutenzione straordinaria nella falda nord dell’antico complesso di San Zeno ha salvato dal pericolo delle infiltrazioni d’acqua piovana gli affreschi trecenteschi della basilica. Il restauro ha interessato 600 metri di superficie su cui è stata applicata un’innovativa tecnica di posa dei coppi senza uso di malta.
«L’intervento era necessario», precisa l’architetto Flavio Pachera, progettista e direttore dei lavori, e l’abate, mons. Gianni Ballarini, riprende: «Da trent’anni si portano avanti importanti opere di ristrutturazione e restauro in sintonia con la Soprintendenza e l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi, supportate con generosità dal Banco BPM. Quest’ultimo obiettivo raggiunto ci dà la serenità per affrontare i prossimi decenni. Un complesso così grande, come una casa, ha bisogno di continua manutenzione ordinaria e straordinaria. Non soltanto nella facciata, ma in punti artisticamente meno gratificanti che sono però determinanti per la conservazione del monumento».
La copertura dell’abbazia fu rifatta all’inizio degli anni Ottanta del Novecento da una ditta fiorentina, sotto la direzione della Sovrintendenza. Spiega l’architetto che «i lavori furono eseguiti a regola d’arte, tanto che tuttora la falda sud e le due falde a capanna della navata centrale tengono bene l’acqua. All’epoca la pendenza della superficie suggerì di fissare i coppi con la malta. Essendo la falda nord più esposta a gelo e disgelo, nei decenni ha subìto dei danni: l’acqua piovana, ristagnando, ha impregnato la vecchia malta e la guaina del tetto provocando pericolose infiltrazioni, soprattutto lungo la parete nord della basilica occupata da grandi superfici affrescate databili al Trecento». Il percolamento rischiava di danneggiare le statue della teoria di Apostoli collocate sopra la balaustra di fine Ottocento in marmo rosso Verona e rendeva inagibile la scala nord di collegamento tra chiesa inferiore e superiore.
Una prima fase dei lavori, durati alcuni mesi, ha riguardato la demolizione del manto di copertura danneggiato, con la selezione dei coppi in buone condizioni. La preesistente guaina ardesiata è stata conservata e ricoperta da un’altra con specifiche caratteristiche di elasticità e resistenza al gelo (fino a 20 gradi sotto zero). Qui, in aiuto del monumento, è intervenuta una moderna metodologia simile a quella adottata nell’abbazia di Praglia a Teolo, nel Padovano. «Sulla guaina sono stati collocati innumerevoli travicelli traforati in una lega che garantisce durevolezza nel tempo. Tale sistema di posa ha permesso di agganciare le tegole con particolari ferri senza ricorrere alla malta». I coppi antichi sono stati mescolati a pezzi recenti, scelti per affinità cromatica e dimensione. Ora il tetto è più ventilato, c’è miglior distribuzione dei carichi e le manutenzioni future saranno facili da eseguire.
A sorpresa storica, è apparsa in un’arcatella che decora gli sporti del tetto la data 1278. «L’iscrizione, mi permetto di aggiungere pur non essendo storico dell’arte – dice Pachera – sposta di circa cinquant’anni in avanti il completamento della basilica, che già nel 1138 fu sopraelevata e allungata, mentre il rosone opera di Brioloto si concluse nei primi decenni del 13º secolo». La data rinvenuta, oltre a confermare gli studi pubblicati nel 1993 da Giovanna Valenzano, «testimonia che i lavori di abbellimento della basilica, con i suoi numerosi affreschi trecenteschi, dall’interno proseguirono all’esterno dell’edificio».
L’intervento è stato finanziato dall’Associazione Chiese Vive, dalla parrocchia di San Zeno e dal Banco BPM.