Leggi le etichette: spendi meno e meglio/2

 
 

Se leggere le etichette dei cosmetici diventa uno scioglilingua, più agile può essere affrontare quelle alimentari, a patto di mantenere un approccio democratico: non condanniamo un ingrediente solo perchè è la crociata di moda, ma approfondiamo quel tanto che basta a farci un’idea attendibilmente equilibrata. D’altra parte, a tavola la prima regola per star bene e potersi permettere la varietà – e non strazianti rinunce –  è la misura.

Sul banco degli imputati oggi c’è l’olio di palma: colpevole o innocente? Non è veleno, ma contiene un’alta percentuale di acidi grassi saturi e, come precisa l’Istituto Superiore di Sanità, “ad essi le evidenze scientifiche attribuiscono – quando in eccesso nella dieta – effetti negativi sulla salute, in particolare rispetto al rischio di patologie cardiovascolari”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia un apporto di grassi saturi del 10% sull’assunzione calorica quotidiana (circa 22 grammi per una dieta di 2000 kcal).

Tra i numerosi prodotti che contengono olio di palma c’è anche l’iconica Nutella: ma come farne a meno, ogni tanto? E, casomai, esistono creme analoghe: leggete la percentuale di nocciole contenuta e traete le vostre conclusioni, ricordando, come precedentemente scritto, che la lista degli ingredienti mette al primo posto quello maggiormente presente.

Un amico della cucina rapida è il dado: se manca il tempo per preparare il brodo come da manuale, si scarta il cubetto e via, ma cosa c’è dentro? Preferite quelli col minor contenuto di sale/sodio, di glutammato (un derivato dagli scarti della lavorazione dello zucchero) ed altri esaltatori di sapidità, di grassi idrogenati; indubbiamente superiori quelli con olio extravergine di oliva. Per brodo di carne, verificate la percentuale di estratto (e non è detto che ci sia!). In alcuni si trova gomma di xanthan: è un addensante, ma può essere rimpiazzato, in cucina, da amido di mais, fecola di patate o farina bianca.

Succo di frutta a merenda? Perchè no? In questo caso le etichette sono brevi e facili, la scelta rapida: optate per “succo di frutta 100%” invece che per “nettare” (quelli prima infanzia esclusi) o “bevanda a base di succo”; nelle ultime due bevande, la percentuale di frutta è minore e ci sono zuccheri o edulcoranti.

Nel carrello tricolore non manca mai la pasta; bene sapere che la nostra legge vieta ai produttori italiani di utilizzare sfarinati di grano tenero per produrre pasta secca, da prepararsi invece esclusivamente con semola di grano duro. La pasta all’uovo deve essere parimenti prodotta esclusivamente con semola e almeno quattro uova intere di gallina, che possono essere sostituite da una corrispondente quantità di ovoprodotto liquido, da uova intere di gallina. Ad acquisto fatto, la prova del fuoco è la tenuta di cottura: una pasta con i crismi rimane elastica, soda, non collosa ed è indizio di glutine di buona qualità. Per il riso, uno dei parametri basilari per la conservazione e la durata del prodotto è l’umidità: se supera il 15%, il prodotto può deteriorarsi più velocemente.

E a questo punto, tocca al vino: in quasi tutte le etichette leggiamo che possono contenere solfiti; si tratta di sostanze chimiche impiegate comunemente nell’industria agroalimentare come conservanti, essendo in grado di inibire l’azione di microorganismi (batteri) che potrebbero alterare il prodotto e di enzimi che, con l’ossigeno, indeboliscono le caratteristiche organolettiche, a scapito del gusto originale. Dunque indispensabili? L’Eufic (European Food Information Council) li classifica come allergeni, l’effetto collaterale dell’assunzione eccessiva si traduce, secondo tradizione comunque non ferrea, nel classico mal di testa. La FAO e l’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano come dose giornaliera massima accettabile 0-0.7 milligrammi per chilo di peso corporeo.

Con processo naturale, la fermentazione dei lieviti della buccia dell’uva può generare fino a 40 mg/l di solfiti; altri tuttavia, come il bisolfito di sodio, sono frequentemente aggiunti a vari scopi: ad esempio, durante la conservazione dei grappoli in cantina, la solfitazione evita l’ossidazione del succo, limita lo sviluppo di batteri e permette ai lieviti una corretta fermentazione.

La normativa europea (Reg. CE No 606/2009) stabilisce il tetto dei solfiti in 150 mg/l per i rossi e 200 mg/l per i bianchi, arrivando rispettivamente a 200 e 250 mg/l per i vini dolci e con deroghe specifiche per certi tipi di vino e necessità determinate dall’andamento dell’annata in specifiche aree di produzione. Sono considerati vini “senza solfiti”, potendo così omettere la dicitura “contiene solfiti” in etichetta, quelli che contengono meno di 10 milligrammi di solfiti per litro. Nel vino biologico (Reg. CE 203/2012) le quantità massime ammesse sono 100 mg/l per i rossi e di 150 mg/l per bianchi e rosati, con la possibilità di aumentare in tutti i casi di 30 mg/l se il vino ha più di 2 grammi di zucchero residuo; il punto 8 del regolamento precisa: “Per quanto riguarda più specificamente i solfiti, i risultati dello studio Orwine hanno dimostrato che i vinificatori biologici dell’Unione già riescono a ridurre il tenore di anidride solforosa nei vini ottenuti da uve biologiche, rispetto al tenore massimo di anidride solforosa autorizzato per i vini non biologici. È pertanto opportuno stabilire un tenore massimo di zolfo specifico per i vini biologici, che dovrebbe essere inferiore al tenore autorizzato nei vini non biologici. I quantitativi necessari di anidride solforosa dipendono dalle varie categorie di vini, nonché da alcune caratteristiche intrinseche del vino, in particolare il suo tenore di zuccheri, di cui occorre tenere conto nel fissare i livelli massimi di anidride solforosa specifici per i vini biologici. Tuttavia, condizioni climatiche estreme possono provocare difficoltà in talune zone viticole rendendo necessario l’uso di quantitativi supplementari di solfiti nell’elaborazione del vino per raggiungere la stabilità del prodotto finito di quell’annata. È quindi opportuno autorizzare l’aumento del tenore massimo di anidride solforosa qualora si verifichino le condizioni summenzionate”.

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Alessandra Moro
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

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