In Italia ogni ora vengono accertati più di tre reati ambientali, per un totale di oltre 28mila nel 2018 per un business che vale 16,6 miliardi di euro. Lo afferma il rapporto “Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia” presentato il 4 luglio da Legambiente. La filiera del cemento, dell’agroalimentare e dei rifiuti, i settori più colpiti.
Il 2018 ha registrato l’impennata dei reati nel ciclo del cemento e nell’agroalimentare. In aumento anche quelli nel settore dei rifiuti e contro gli animali. Il business dell’ecomafia cresce ancora e raggiunge quota 16,6 miliardi di euro mentre sono 368 il totale dei clan censiti da Legambiente.
La Campania in testa alla classifica regionale per numero di reati ambientali mentre Napoli, Roma e Bari sono le province con il più alto numero di illeciti 100 le inchieste per corruzione rilevate dal 2018 allo scorso maggio in tutta Italia.
Nella Penisola continua l’attacco di ecocriminali ed ecomafiosi nei confronti dell’ambiente: ciclo illegale del cemento e dei rifiuti, filiera agroalimentare e racket degli animali sono nel 2018 i settori prediletti dalla mano criminale che continua a fare super affari d’oro.
A parlar chiaro sono anche quest’anno i dati di “Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia” raccolti da Legambiente nel suo report annuale dedicato alle illegalità ambientali.
Nel 2018 diminuisce, di poco, il bilancio complessivo dei reati contro l’ambiente che passa dagli oltre 30mila illeciti registrati nel 2017 ai 28.137 reati (più di 3,2 ogni ora) accertati lo scorso anno, calo causato dalla flessione degli incendi boschivi (-67% nel 2018) e in parte alla riduzione dei furti di beni culturali (-6,3%).
Diminuiscono inoltre le persone denunciate – sono 35.104 contro le oltre 39mila del 2017 – così come quelle arrestate, 252 contro i 538 del 2017, e i sequestri effettuati – 10mila contro gli 11.027 del 2017. L’aggressione alle risorse ambientali del Paese si traduce in un giro d’affari che nel 2018 ha fruttato all’ecomafia ben 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all’anno precedente e che vede tra i protagonisti ben 368 clan, censiti da Legambiente e attivi in tutta Italia.
Sul fronte dei singoli illeciti ambientali, nel 2018 aumentano sia quelli legati al ciclo illegale dei rifiuti che si avvicinano alla soglia degli 8mila (quasi 22 al giorno) sia quelli del cemento selvaggio che nel 2018 registrano un’impennata toccando quota 6.578, con una crescita del +68% (contro i 3.908 reati del 2017). Un incremento che si spiega con una novità importante di questa edizione del rapporto Ecomafia: per la prima volta rientrano nel conteggio anche le infrazioni verbalizzate dal Comando carabinieri per la tutela del lavoro, in materia di sicurezza, abusivismo, caporalato nei cantieri e indebita percezione di erogazioni ai danni dello stato, guadagni ottenuti grazie a false attestazioni o missione di informazioni alla Pubblica amministrazione.
Nel 2018 lievitano anche le illegalità nel settore agroalimentare, sono ben 44.795, quasi 123 al giorno, le infrazioni ai danni del Mady in Italy (contro le 37mila del 2017) e il fatturato illegale – solo considerando il valore dei prodotti sequestrati – tocca i 1,4 miliardi (con un aumento del 35,6% rispetto all’anno).
In leggera crescita anche i delitti contro gli animali e la fauna selvatica con 7.291 reati – circa 20 al giorno – contro i 7mila del 2017. Calano invece gli incendi boschivi: un crollo da 6.550 del 2017 ai 2.034 del 2018. Da sottolineare che anche nel 2018 si conferma l’ottima performance della Legge 68/2015 sugli Ecoreati, che sin dall’inizio della sua entrata in vigore (giugno 2015) sta stando un contributo fondamentale nella lotta agli ecocriminali, con più di mille contestazioni solo nello scorso anno (come si dirà dopo) e un trend in costante crescita (+ 129%).
Questo è quanto emerge in sintesi dal rapporto “Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia”, realizzato da Legambiente grazie anche alla collaborazione delle Forze dell’ordine alle Capitanerie di porto, dalla Corte di Cassazione al Ministero della giustizia, da Ispra e Sistema nazionale protezione ambiente al Cresme, dalla Commissione Ecomafie all’Agenzia delle Dogane, solo per citarne alcuni.
La Legge 68/2015 sugli ecoreati: nella lotta alla criminalità ambientale, la legge sugli ecoreati continua ad avere un ruolo chiave, sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Nel 2018 la legge è stata applicata dalle forze dell’ordine per 1.108 volte, più di tre al giorno, con una crescita pari a +129%. Come gli altri anni, la fattispecie dell’inquinamento ambientale è quella più applicata: 218 contestazioni, con una crescita del 55,7% rispetto all’anno precedente. Aumentano anche i casi di disastro ambientale applicato in 88 casi (più che triplicati rispetto all’anno precedente). Completano il quadro le 86 contestazioni per il delitto di traffico organizzato di rifiuti, i 15 casi di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, i 6 delitti colposi contro l’ambiente, i 6 di impedimento al controllo e i 2 di omessa bonifica.
Illegalità ambientali: Tornando ai dati Ecomafia 2019, nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), lo scorso anno si è concentrato quasi il 45% delle infrazioni, pari a 12.597. Anche quest’anno la Campania domina la classifica regionale delle illegalità ambientali con 3.862 illeciti (14,4% sul totale nazionale), seguita dalla Calabria (3.240) – che registra comunque il numero più alto di arresti, 35 –, la Puglia (2.854) e la Sicilia (2.641). La Toscana è, dopo il Lazio che ha registrato poco più di 2.000 reati, la seconda regione del Centro Italia per numero di reati (1.836), seguita dalla Lombardia, al settimo posto nazionale. La provincia con il numero più alto di illeciti si conferma Napoli (1.360), poi Roma (1.037), Bari (711), Palermo (671) e Avellino (667).
La Campania domina anche la classifica regionale delle illegalità nel ciclo del cemento con 1.169 infrazioni, davanti alla Calabria (789), Puglia (730), Lazio (514) e Sicilia (480). A livello provinciale, guidano la classifica Avellino e Napoli con rispettivamente 408 e 317 infrazioni accertate.
Il fenomeno dell’abusivismo edilizio, soprattutto al Sud, rimane una piaga per il Paese che nel 2018 è stato anche segnato dal vergognoso condono edilizio per Ischia. Anche in questa edizione di Ecomafia emerge che in Italia si continua a costruire abusivamente: secondo il CRESME, nel 2018 il tasso di abusivismo si aggira intorno al 16%, considerando sia le nuove costruzioni sia gli ampliamenti del patrimonio immobiliare esistente. Inoltre secondo i dati del report Abbatti l’abuso, dal 2004, anno successivo all’ultimo condono edilizio nazionale, al 2018, nel nostro paese è stato abbattuto solo il 19,6% degli immobili colpiti da un ordine di demolizione. Legambiente ricorda che il migliore deterrente contro i nuovi abusi sono le demolizioni.
Sul fronte del traffico illecito dei rifiuti, sono 459 le inchieste condotte e chiuse dalle forze dell’ordine dal febbraio 2002 al 31 maggio 2019 utilizzando il delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti. Complessivamente sono state 90 le procure che si sono messe sulle tracce dei trafficanti, portando alla denuncia di 9.027 persone e all’arresto di 2.023, coinvolgendo 1.195 aziende e ben 46 stati esteri. Le tonnellate di rifiuti sequestrate sono state quasi 54 milioni. Tra le tipologie di rifiuti predilette dai trafficanti ci sono i fanghi industriali e i rifiuti speciali contenenti materiali metallici.
La corruzione resta lo strumento principe, il più efficace, per aggirare le regole concepite per tutelare l’ambiente e maturare profitti illeciti. Dal 1° giugno 2018 al 31 maggio 2019 sono ben 100 le inchieste censite da Legambiente e che hanno visto impegnate 36 procure, capaci di denunciare 597 persone e arrestarne 395, eseguendo 143 sequestri. Se nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso se ne sono contate 43, che fanno il 43% sul totale, è il Lazio la regione con il numero più alto di inchieste, 23, seguita da Sicilia (21), Lombardia (12), Campania (9) e Calabria (8).
Per quanto riguarda il settore delle archeomafie, lo scorso anno il racket legato alle opere d’arte e ai reperti archeologici ha avuto un andamento altalenante: cala per quanto riguarda i furti (-6,3%) rispetto all’anno precedente, ma il dato più importante è la contrazione dei sequestri effettuati (-77,8%) e quella degli oggetti recuperati (-41%). Considerevole il numero dei controlli, che sono stati 33.028, una media di oltre novanta al giorno. La regione più esposta all’aggressione dell’archeomafia è la Campania, con il 16,6% di opere d’arte rubate, mentre a svettare nel bilancio 2018 del “tesoro recuperato” ci sono i 43.021 reperti archeologici.
Altro fronte, è quello degli shopper illegali. Nell’ultimo anno e mezzo (2018 e primi cinque mesi del 2019), l’Agenzia delle dogane dei monopoli, in collaborazione con Guardia di finanza e Carabinieri, ha lavorato con campagne mirate per fermare i flussi illegali. Il risultato complessivo è stato: 6,4 milioni di borse di plastica illegali sequestrate al porto di La Spezia; 15 tonnellate di borse di plastica illegali sequestrate al porto di Palermo; 18 tonnellate di borse di plastica illegali sequestrate al porto di Trieste, solo per citare qualche numero.
Novità di questa edizione è, infine, uno specifico capitolo dedicato al mercato nero dei gas refrigeranti HFC, gas introdotti dal protocollo di Montreal in sostituzione di quelli messi al bando perché lesivi dello strato di ozono (ODS). Come emerge dall’analisi dell’EIA (Environmental Investigation Agency) e dal lavoro degli inquirenti dei paesi membri, una bella fetta di questo mercato internazionale (regolato da un complesso sistema di quote assegnate alle aziende produttrici) è completamente in nero, dove figura anche l’Italia
Nella lotta alle ecomafie e agli ecocriminali, per Legambiente è fondamentale mettere in campo una grande operazione di formazione per tutti gli operatori del settore (magistrati, forze di polizia e Capitanerie di porto, ufficiali di polizia giudiziaria e tecnici delle Arpa, polizie municipali ecc.) sulla Legge 68/2015. Tra le altre principali proposte avanzate, l’associazione chiede che venga semplificato l’iter di abbattimento delle costruzioni abusive avocando la responsabilità delle procedure ai prefetti; che vengano riconosciuti diritti propri anche agli animali inserendo la loro tutela in Costituzione e approvato il disegno di legge sui delitti contro fauna e flora protette inserendo – all’interno del Titolo VI bis del Codice penale – un nuovo articolo che preveda sanzioni veramente efficaci per tutti coloro che si macchiano di tali crimini.
Per aumentare il livello qualitativo dei controlli pubblici serve approvare i decreti attuativi della legge che ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione ambientale. Sul fronte agroalimentare, l’associazione chiede che venga ripresa la proposta di disegno di legge del 2015 sulla tutela dei prodotti alimentari per introdurre una serie di nuovi reati che vanno dal “disastro sanitario” all’“omesso ritiro di sostanze alimentari pericolose” dal mercato.
Inoltre chiede che l’accesso alla giustizia da parte delle associazioni dovrebbe essere gratuito e davvero accessibile. Altrimenti rimane un lusso solo per chi se lo può permettere, e tra costoro non ci sono sicuramente le associazioni e i gruppi di cittadini.
Alla domanda del perché non si riesce a imprimere una svolta decisa alla lotta contro gli ecocriminali, a livello tecnico, la risposta è molto semplice: carenza di leggi e carenza degli organi di controllo.
Eppure basta pensare ai settori più colpiti, la filiera del cemento, dell’agroalimentare e dei rifiuti, per renderci conto di quanto investire nella legalità significhi avere a cuore la salute e la sicurezza dei cittadini e sia fondamentale per il futuro del nostro Paese.
Alberto Speciale
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Per leggere i numeri della criminalità ambientale in Veneto clicca sul seguente link: http://noecomafia.it/2019/veneto/numeri/
(foto di copertina credit VVox – rifiuti rinvenuti nel sottosuolo del cantiere di Monteccchio durante le operazioni di scavo per la costruzione della Pedemontana Veneta)