Il Papà del Gnòco tiene alto lo scettro forcuto, ma dietro di lui nutrito è il drappello di altre maschere, a rappresentare durante la sfilata del venerdì gnocolàr i quartieri veronesi. Movimentata, con finale thriller, è la storia del Duca della Pignatta, al secolo Siro Zuliani, nato nel rione di Santo Stefano nel 1852, impiegato nella ditta Laschi; nonostante il modesto stipendio, dimostrò straordinaria munificenza a pubblici scopi. Nel 1882 un comitato carnevalesco aveva organizzato in Arena una ascensione di palloni aerostatici e Zuliani ne offrì uno, annunciandone la partenza come la “fantastica ascensione del Duca di Saint Julien”: la trovata ebbe successo e fruttò al suo autore il titolo scherzoso di Duca.
L’anno successivo collocò a proprie spese e di propria mano in via S. Alessio – davanti alla chiesa di S. Stefano, su casa Bussoni – una targhetta (pierèta) a ricordo della piena fluviale che aveva devastato la città e durante la quale aveva prestato opera di soccorso, colmando una lacuna da parte delle autorità, che avevano disseminato lapidi ovunque, eccetto in quel luogo.
Ma dove trovava i denari il buon Zuliani? Era solo prodigo, non ricco, ma si sa come funziona la fantasia popolare: cominciò a girar voce che avesse trovato nelle cantine della propria casa ristrutturata una pignatta colma di marenghi ed egli, spiritosamente, assecondò e fece esporre nella vetrina dello stovigliaio Martini in via Nuova (ora Mazzini) un pentolone di terracotta con la scritta “Ecco la vera pignatta trovata dal Duca di S. Stefano”. Così nacque il titolo e la carriera; nel 1884 costituì un Comitato per il Baccanale di S. Stefano e di S. Giorgio, col dichiarato intento di organizzare un Carnevale antagonista a quello, invero in ribasso, di S. Zeno, e suscitando un bel numero di ulteriori tentativi di imitazione, commisurati alle tasche dei vari quartieri.
La festa del Luni pignatàr ideata (e foraggiata) da Zuliani col suo comitato riscosse un successo strepitoso: tutta la città, con le autorità in testa, accorse a S. Stefano, dove il Duca trionfò tra la folla assiepata. Ma nella notte tra il 19 ed il 20 marzo successivo l’uomo si suicidò in una stanza (con due porte) dell’albergo “Croce verde” di Mantova, dopo aver lasciato ai familiari ed alle autorità veronesi alcune lettere, senza che, però, riuscissero a far luce sulla tragica fine; si può supporre che fosse diventata insanabile la mole di debiti (la pignàta di Siro era una vincita al lotto di diecimila lire cinque anni prima)? Da gentiluomo dell’Ottocento, aveva evitato il disonore con un colpo di pistola? Ricerche successive hanno dimostrato che i debiti non erano poi così tanti e che, prima di partire per Mantova (con biglietto andata-ritorno…), si era fatto consegnare quattro libri contabili Laschi, bruciandoli sul balcone di casa e scrivendo alla moglie: “I Laschi mi hanno voluto cattivo e io mi dimostro cattivo (…) e (…) due soli personaggi altolocati ne sanno qualcosa”. Fu davvero suicidio? Un uomo che così amava la vita e la gente? Il mistero è stato indagato, ma il tempo ha ormai nascosto la verità. Il Duca, tuttavia, si è immortalato nel suo stesso personaggio, che anche quest’anno sfila indossando mantello e cilindro di colore azzurro, circondato dai suoi dignitari (Gran Ciambellano e Commendatori) e dalle Dame, abbigliati secondo la foggia di fine Ottocento.