Poco prima dello schianto finale, l’ex Sovrintendente di Fondazione Arena Girondini ricorreva tronfio per auto-attribuirsi il Premio Nobel per l’economia, seppur la situazione finanziaria fosse definitivamente compromessa dalle note operazioni di finanza creativa della cessione dei bozzetti alla partecipata Arena Extra, che poi costò una sanzione milionaria, e dalla fallimentare operazione del Museo AMO. L‘illuminato colo’ a picco poco dopo distribuendo a piene mani il lascito di una dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa (illecita poiché non in capo agli organi veronesi) e un dissesto che i lavoratori sono stati costretti a pagare con un sacrificio salariale di 12 milioni di euro.
Dopo la parentesi gestionale commissariale (che Dio l’abbia in gloria, nonostante tutto), la Fondazione torna in mano ad organi di indirizzo e dirigenza espressi dalla politica veronese, che al termine del primo anno di gestione annuncia con toni roboanti gli eccelsi risultati della propria amministrazione. Evidentemente le operazioni di sciacallaggio non erano finite.
La sfiducia plebiscitaria nella Dirigenza e le tre giornate di sciopero lo testimoniano. Chi respira ad ampi polmoni la Fondazione, contesta nel merito i dati che la “macchina della propaganda” diffonde, pari pari al fu Sovrintendente Girondini.
Controsensi e Piroette
Per quale motivo una Fondazione lirico-sinfonica, cioè un ente prioritario di interesse nazionale per la produzione e diffusione dell’arte musicale – pertanto ovviamente senza scopi di lucro – che ottiene più di 10 milioni di euro di contributi dallo Stato e dagli Enti locali per produrre cultura e fornire tale servizio ai cittadini, deve chiudere con un utile di esercizio di soli 2 milioni di euro?
Perché tale utile non è stato previsto per ripristinare il servizio ai cittadini nei mesi di chiusura?
Di sicuro quel “plus” non è stato utilizzato per diminuire l’esposizione debitoria lasciata dalla gestione pre-commissariale, dato che la lancetta del debito non cala del valore corrispondente. E come sempre a pagare è Pantalone. I dipendenti, in qualsiasi stato di società civile lavorativa, dovrebbero essere creditori privilegiati, non carne da macello affossati e umiliati nella depredazione del salario.
Il quadro già cupo aggiunge tinte fosche nel dettaglio.
La biglietteria. Solo qualche mese fa, a conclusione del Festival, Fondazione proclamava la crescita di 1,4 milioni di euro rispetto al 2017. Dati che non collimano con quelli del Sindacato, espressi secondo i format previsti dal Ministero per i piani di risanamento, la cui differenza tra il risultato del 2018 al netto dell’IVA (circa 21,4M €) e quello del 2017 (circa 20,6M €) é di soli 800.000€.
E cosa pensare del “contributo comunale” (a stima attorno al milione di euro), che tra tutti i ricavi comprende l’affitto dell’Anfiteatro in occasione dei concerti Rock, Pop e altro, la cosiddetta Extra-lirica tanto per intenderci, partecipata e controllata al 100%, e oggi denominata Arena di Verona Srl, che ottiene qualcosa di già suo?
Nelle intenzioni dell’amministrazione, tale “storno” dovrebbe compensare una voce che, in ottemperanza alla legge (Legge 800/1967), è dovuta dal Comune alla Fondazione e che fino a pochi anni fa andava regolarmente a rimborso con una voce di spesa ben definita a bilancio: il costo del cosiddetto allestimento-disallestimento dell’Anfiteatro, ovvero quanto necessario per trasformare ogni anno il monumento in luogo atto a rappresentazioni e spettacoli e viceversa al termine della stagione (circa 1.1M €).
Capitolo Museo AMO: sempre per la stessa legge di cui sopra, il Comune mette a disposizione gratuitamente i luoghi necessari alla sua attività, i canoni di locazione di Palazzo Forti, sede del Museo, per consentire l’attività, prevista dallo Statuto della Fondazione. Cosa accade invece? Nonostante il piano di risanamento preveda già per il 2017 la dismissione del Museo AMO, in quanto anti-economico (valutazione peraltro confermata dalla Corte dei Conti a giugno 2018, che ipotizza anche precise responsabilità a riguardo), i vertici non rescindono consensualmente il contratto di locazione, ma suggeriscono che sia Fondazione a mandare disdetta. Risultato: l’affitto del Museo resta sulle spalle dell’Ente anche per quest’anno, con in aggiunta la beffa della delibera comunale che blocca il contributo comunale ordinario di due anni (300.000 € + 300.000€) a compensazione del mancato pagamento dell’affitto.
Riassumendo, l’esorbitante contributo comunale di 1,6M € dovrebbe essere capiente per: 1,1M per allestimento-disallestimento e 0,5M affitto Palazzo Forti (dovuti per legge), ricavi dell’Extra-lirica (più di 1M €) e contributo ordinario (300.000€), recentemente raddoppiato per delibera consiliare e quindi portato a 600.000 €. I conti non tornano.
Senza dubbio è invece positivo il coinvolgimento del privato con la discesa in campo dell’industria veronese, sia di quella che divenendo socia ha acquisito una “sedia“ nel Consiglio di Indirizzo, sia delle Azienda che ricorrono a sponsorizzazioni e Art-Bonus.
Forse sarebbe auspicabile che tali sforzi fossero però gestiti da una Dirigenza capace, non da chi mette in scena la Bohème “monca”, della quale fino a poche ore fa non erano noti nemmeno i cast e per la quale sono in vendita i biglietti da ieri (presso la biglietteria in via dietro Anfiteatro, attenzione, non in quella del Teatro Filarmonico in cui sono le rappresentazioni). Una dirigenza che ha concluso la campagna abbonamenti con un cartellone totalmente vuoto e per la realizzazione del quale, soprattutto del mastodontico Mefistofele, gli stessi dipendenti nutrono da settimane fortissime perplessità sull’effettiva realizzabilità.
Verrebbe da dire “non è tutto oro quello che luccica”, ma vista la storia pregressa di Fondazione Arena è meglio dire “contano più i fatti delle parole”. E i fatti sono quello che vedremo sul palcoscenico, il servizio pubblico per cui tutti noi cittadini paghiamo.
G. O. L. O.