Fornaci e calcàre sul Garda: dolce la vita in villa, operosa nei villaggi

 
 

Territorio di remoti insediamenti, quello del Garda: si parte dal Mesolitico e Neolitico, con capillarizzazione di tipo palafitticolo nell’età del Bronzo (2300-1200 a.C.), la cosiddetta “Cultura di Polada”, che prende il nome da una località nel lonatese.

Con i Romani, dalla prima metà del I sec. d.C sorgono villaggi (vici) e ville, sia lungo le sponde del lago (a Sirmione, Desenzano, Toscolano), sia rurali, nell’entroterra (es. a. Pozze, presso Lonato, e Faustinella). Importanti vie di collegamento terrestri – la Verona-Brixia – e lacustri, insieme alla facile reperibilità di materie prime per la produzione di laterizi (acqua, argilla, legna da ardere) favoriscono lo sviluppo di un complesso artigianale locale, oggi indicato come “Fornace dei Gorghi”, attivo dal I-II sec. d.C. fino al Trecento; comprendeva sei fornaci, di cui oggi solo una si è ben conservata, essendo posta su una piccola altura (fornace A). Nella zona limitrofa, a circa 7 km., si estendeva la villa romana di Desenzano (fine I sec. a.C.), affacciata sul lago con moli, attracchi e forse peschiere per l’allevamento ittico, impreziosita da oltre 240 mq di mosaici policromi e di proprietà di Flavius Magnus Decentius, fratello dell’imperatore usurpatore Magnenzio, da cui, si pensa, derivi l’attuale nome della cittadina; a circa 17 km. si trova la villa romana di Sirmione (Grotte di Catullo, la più grande e pregevole dell’Italia settentrionale) e a 35 km. quella di Toscolano, presumibilmente appartenente alla famiglia bresciana dei Nonii.

Fornace romana di Lonato del Garda: fino a novembre aperta il sabato mattina dalle 9.30 alle 12.00 con servizio di visita guidata. Prossime aperture: sabato 19 e 26 agosto, domenica 3 settembre, sabato 2, 9, 16, 23, 30 settembre.

Fornaci per altra trascorsa produzione legata all’edilizia sono anche le calcàre: nei 12 comuni del comprensorio Alto Garda e Ledro (Arco, Bezzecca, Concei, Drena, Dro, Molina di Ledro, Nago-Torbole, Pieve di Ledro, Riva del Garda, Tenno, Tiarno di Sopra, Tiarno di Sotto) se ne contano 124 e un’altra quarantina sono sparse tra Limone sul Garda, Tremosine, Tignale, Gargnano e Toscolano Maderno.

Dalla Grecia al Garda, passando per Roma e Malta, la parola “calce” ha un interessante percorso etimologico, che prende le mosse dall’antica Ellade, ove χάλιξ (càlix) indicava il ciottolo, la pietruzza, la ghiaia, i rottami pietrosi; là, una striscia di calce bianca era utilizzata negli stadi e nei percorsi sportivi per segnare i traguardi delle gare di corsa, e da qui la locuzione “in calce” a significare “in fondo”, “alla fine”. Quei rottami pietrosi vennero poi chiamati dai latini caementum (dal verbo caedere, “tagliare in pezzi”, passato al successivo italiano “incido”, “taglio dentro”) e adoperati per fare il calcestruzzo (calcis structio, struttura a base di calx, calce). Nei secoli, cemento andò a definire tutto il conglomerato di acqua, legante, sabbia e rottame di pietra, ossia il calcestruzzo; la distinzione odierna tra “cemento” e “calcestruzzo” arriva alla fine del Settecento.

Le calcàre, sorta di “tini” in muratura, erano solitamente addossati ad un pendio, con diametro variabile dai 3 ai 5 metri, altezza dai 2 ai 4 metri e due aperture, una sulla sommità e l’altra d’accesso interno, per inserire il pietrame calcareo da cuocere ed estrarre la calce. Il fuoco – legno di faggio o abete – doveva essere vivo, bruciare fino a quasi 8 giorni circa, o in media 4-5, a seconda del tipo di calcare; per controllare lo stato di cottura si prendeva un sasso e lo si buttava in acqua fredda, o lo si bucava con un apposito punteruolo di ferro che, se si infilava, indicava lo stato finito della calce, che allora veniva estratta dal forno (bianca calce, calce viva), gettata in una fossa scavata nel terreno e irrorata d’acqua, provocando una vivace reazione chimica (da cui tenersi a debita distanza) per spegnerla e preparare successive malte per uso edìle.

L’Ecomuseo dell’Argentario, che comprende tutto l’altipiano del monte Calisio, cima che si affaccia sulla città di Trento, nato per tutelare le tracce dell’attività mineraria medievale, si occupa di valorizzare anche altre peculiarità: dalle cave di pietra alle bellezze naturalistiche alle tracce della Grande Guerra, ai piccoli borghi con i loro antichi mestieri e prodotti agricoli, e propone anche la riscoperta delle calcàre locali.

 
 
Alessandra Moro
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

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