Con la Direttiva 2018/850 del 30 maggio 2018 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno apportato la modifica alla Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
Sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità economica europea n. L 150 del 14 giugno 2018 (GUUE L 150, 14 giugno 2018) sono state pubblicate le seguenti 4 Direttive europee (Pacchetto normativo dell’Economia Circolare) che entreranno in vigore il 4 luglio 2018 e dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 5 luglio 2020:
- Direttiva 2018/849/UE del 30 maggio 2018 che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche;
- Direttiva 2018/850/UE del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti;
- Direttiva 2018/851/UE del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti;
- Direttiva 2018/852/UE del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.
Tanti i passaggi sui quali si sofferma la Direttiva di modifica, queste alcune novità del nuovo pacchetto europeo:
- per i rifiuti urbani si alzano al 55% nel 2025, al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035 gli obiettivi di riciclo (oggi siamo al 42%). Per raggiungere il target del 2035 sarà necessario che la raccolta differenziata arrivi almeno al 75% (oggi la media nazionale è del 52,5%);
- viene rafforzata la responsabilità estesa del produttore che, nella gestione dei rifiuti che derivano dai loro prodotti, dovranno assicurare il rispetto dei target di riciclo, la copertura dei costi di gestioni efficienti della raccolta differenziata e delle operazioni di cernita e trattamento, quelli dell’informazione, della raccolta e della comunicazione dei dati. Per gli imballaggi tale copertura sarà dell’80% dei costi dal 2025, per i settori non regolati da direttive europee la copertura dei costi sarà almeno del 50%, per RAEE, veicoli e batterie restano le direttive vigenti in attesa di aggiornamenti;
- per il riciclo degli imballaggi l’Italia è già a buon punto: si dovrà aumentare il riciclo dall’ attuale 67% al 70% del totale degli imballaggi entro il 2030. Per gli imballaggi in legno oggi il riciclo è al 61% a fronte di un obiettivo del 30%; per quelli ferrosi l’obiettivo è dell’l’80% (oggi si è al 77,5%); per l’alluminio l’obiettivo è del 60% (oggi si è già al 73%); per gli imballaggi in vetro l’obiettivo è del 75% (oggi si è al 71,4%); per gli imballaggi di carta si dovrà passare dall’attuale 80% all’85%. Maggiori difficoltà, a causa degli imballaggi in plastiche miste, ci sono per il riciclo di quelli in plastica che dovrà aumentare dal 41% attuale al 55% al 2030;
- lo smaltimento in discarica non dovrà superare il 10% dei rifiuti urbani prodotti. Oggi in Italia la media è del 26%, però con Regioni in forte ritardo: il Molise (90% in discarica), la Sicilia (80%), la Calabria (58%), l’Umbria (57%), le Marche (49%) e la Puglia (48%);
- per attuare a una strategia contro gli sprechi alimentari vengono introdotti target di riduzione degli sprechi del 30% al 2025 e del 50% al 2030.
Le modifiche dunque toccano le definizioni contenute nella direttiva 1999/31/CE da riallineare con quelle contenute nella direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in particolare la definizione di «insediamento isolato» viene ricontestualizzata tenendo conto delle specificità di tali insediamenti, che sollevano preoccupazioni sostanzialmente diverse da un punto di vista ambientale rispetto ad altre regioni.
Si conferma che l’ambito di applicazione della Direttiva 1999/31/CE dovrebbe continuare a comprendere il deposito dei rifiuti delle industrie estrattive che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/21/CE.
Ulteriori previsioni di modifica riguardano poi la riduzione del collocamento in discarica dei flussi di rifiuti a cui si applica la raccolta differenziata, vale a dire plastica, metalli, vetro, carta e rifiuti organici. Al momento di attuare tali restrizioni al collocamento in discarica andrebbe tenuto conto della fattibilità tecnica, ambientale ed economica del riciclaggio o del recupero dei rifiuti residui risultanti dalla raccolta differenziata.
Quanto al collocamento in discarica di rifiuti biodegradabili non trattati, secondo il Parlamento e il Consiglio, esso produce significativi effetti ambientali negativi in termini di emissioni di gas a effetto serra e di inquinamento delle acque superficiali, delle acque di falda, del suolo e dell’atmosfera. Sebbene la direttiva 1999/31/CE stabilisca già obiettivi per diminuire il collocamento in discarica dei rifiuti biodegradabili, è opportuno limitarlo ulteriormente vietandolo per i rifiuti raccolti in maniera differenziata ai fini del riciclaggio in osservanza della direttiva 2008/98/CE.
In vista poi, a partire dal 2030, misure di restrizioni sul collocamento in discarica a tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o a altro recupero di energia o di materia. Tali restrizioni non si applicheranno nei casi in cui si possa dimostrare che i rifiuti non sono adatti al riciclaggio o ad altro recupero e che il collocamento in discarica garantirebbe il miglior risultato ambientale complessivo, in linea con la gerarchia dei rifiuti di cui alla direttiva 2008/98/CE.
Correlativamente al tema della riduzione del collocamento in discarica, si pongono le modifiche volte ad evitare la sovracapacità per gli impianti di trattamento dei rifiuti residui, come per esempio attraverso il recupero di energia o il trattamento meccanico-biologico di scarsa qualità dei rifiuti urbani non trattati, così da non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione Europea di lungo termine in tema di riciclo stabiliti dalla Direttiva 2008/98/CE. E pertanto, gli Stati membri che, secondo i dati contenuti nel questionario congiunto dell’OCSE e di Eurostat, hanno collocato in discarica oltre il 60 % dei rifiuti urbani nel 2013 vengono autorizzati a decidere di prorogare il termine per raggiungere gli obiettivi in materia di collocamento in discarica fissati per il 2035.
I rifiuti risultanti da cernita e trattamento meccanico che, alla fine, sono collocati in discarica vengono considerati ai fini del calcolo degli obiettivi di collocamento in discarica.
Quanto all’obbligo di trattamento dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica, gli Stati membri dovrebbero applicare il trattamento più adatto, compresa la stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti, e dovrebbero tenere conto delle misure già attuate per ridurre tali effetti negativi, in particolare la separazione dei rifiuti organici e la raccolta differenziata di carta e di cartone.
La Direttiva europea sembra voler, indirettamente, porre un freno al fenomeno delle discariche illegali e/o irregolari che hanno creato punti di degrado e pericolo ambientale in tutta Italia. E non sono soltanto il risultato di processi apertamente criminali, ma anche di attività di sversamento di comune immondizia urbana secondo quelle che sembravano prassi regolari.
I più sensibili alla tematica ricorderanno che rientrano in questa categoria la maggior parte dei siti che il governo ha deciso di affidare, nel 2017,a un Commissario straordinario per velocizzare le operazioni di bonifica e cercare di ridurre le sanzioni europee, senza tralasciare il contrasto di possibili reati (inquinamento, traffico illecito, mancata bonifica, disastro ambientale, appalti truccati). L’Italia, infatti, messa sotto osservazione sin dal 2003, è stata condannata dall’UE nel 2007, alla luce della «reiterata e persistente» prassi di mancato rispetto degli obblighi derivanti dalle direttive europee. Di nuovo sanzionata nel 2014, visto che le discariche irregolari, anche se già chiuse, non venivano disinquinate e per di più mancavano una catalogazione e un’identificazione esaustive dei rifiuti pericolosi presenti.
All’avvio della procedura di infrazione europea «erano state censite 5.301 discariche abusive», si legge nella sentenza di condanna.
Il settore è particolarmente esposto agli interessi delle ecomafie, e come indicato dalla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti illecito (Ecomafie) nella relazione finale sul Veneto (da pagina 184 riguarda Verona), pubblicata nel giugno 2016, avente ad oggetto lo studio delle modalità di recupero e smaltimento dei rifiuti nel territorio veneto, emergerebbe una situazione di endemica e diffusa illegalità alla quale sarebbe riconducibile il disseminamento del territorio di materiali pericolosi, miscelati con rifiuti normali al fine di velocizzare ed economizzare l’intero procedimento di smaltimento dei rifiuti.
Si tratterebbe, quello delineato, di un fenomeno che sembra assurgere a sistema industriale parallelo a quello legale, connotato invece da una illiceità persistente e redditizia, a cui neanche Verona rimane immune. Le testimonianze in questi anni dei roghi, delle discariche illegali sequestrate, delle contaminazioni in falda dei rifiuti sono a confermarlo.
Per chi pensa che il problema di “Ca’ Filissine” riguarda solo Pescantina ricordo che il plume di PFAS causato dal percolato potrebbe essere arrivato anche a Verona. Attendiamo di leggere la relazione della Commissione Regionale PFAS in tal senso.
Torneremo sulla questione PFAS e percolato in un prossimo articolo dove pubblicheremo i “numeri” relativi al campionamento effettuato e che VeronaNews ha chiesto all’ARPAV.
Alberto Speciale