Chi è affetto da disabilità motoria può a volte perdere la consapevolezza del proprio deficit, mantenendo la precisa convinzione di poter fare ciò che faceva prima della malattia. Questo è dovuto al fatto che in questi casi, la lesione coinvolge, oltre alle reti motorie, reti nervose responsabili della consapevolezza di sé. Come conseguenza il soggetto non riesce a riconoscere e integrare i propri deficit, rimanendo bloccato all’immagine di sé precedente la lesione.
Questi i risultati di uno studio, coordinato dall’ateneo scaligero, pubblicato sulla rivista internazionale E-life, dal titolo ‘Anosognosia for Hemiplegia as a tripartite disconnection syndrome’, coordinato da Valentina Moro, docente di Psicobiologia e psicologia fisiologica nel dipartimento di Scienze umane dell’ateneo, diretto da Riccardo Panattoni, e firmato da Valentina Pacella, dottoranda all’università La Sapienza di Roma. Tra gli altri autori anche Michele Scandola, docente nel dipartimento di Scienze umane.
Nel progetto, oltre all’ateneo scaligero, sono coinvolte istituzioni italiane e internazionali, tra cui il dipartimento di Psicologia della Sapienza di Roma, l’Università Sorbona di Parigi, e l’University College di Londra. Fra gli enti partecipanti anche il dipartimento di Riabilitazione dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretto da Renato Avesani. La ricerca è stata finanziata dall’Unione europea, tramite il programma Horizon 2020, dal Miur e dall’università di Verona, con fondi per la Ricerca di base.
Il gruppo di ricerca ha riunito il più ampio gruppo mai analizzato di persone con disturbi della consapevolezza del deficit motorio. Grazie a metodologie e tecnologie innovative, si è giunti al risultato che la consapevolezza motoria è possibile grazie all’azione congiunta di tre reti neurali: la rete premotoria, il sistema limbico e la rete attenzionale ventrale. “È la disconnessione tra queste tre reti, e non soltanto la lesione a singole aree cerebrali, a causare nei soggetti il disturbo di consapevolezza del deficit motorio”, spiega Valentina Moro. “La persona rimane bloccata all’immagine di sé che si era costruita prima della lesione, diventando incapace di convincersi di non essere più in grado di compiere determinate attività motorie. Si sono dunque individuate le reti nervose che sottostanno alla consapevolezza del movimento, confermando così l’idea che la consapevolezza motoria è frutto di integrazione di reti complesse e la necessità di ragionare sull’integrazione tra sistemi neurali”.
Scenari futuri. “Chi si muove senza difficoltà considera una cosa scontata l’essere consapevole di quello che sta facendo”, prosegue Moro, “ma nella realtà moltissimi movimenti vengono effettuati in assenza di consapevolezza. Lo stesso è per molte altre funzioni cognitive, quali ad esempio la memoria e il linguaggio. Come in realtà facciamo ad essere consapevoli del nostro agire resta un mistero, su cui discipline scientifiche e umanistiche si concentrano da tempo. Lo studio della consapevolezza motoria apre alla possibilità di investigare altri aspetti della consapevolezza di sé e delle proprie abilità. In questo senso, lo studio di persone con deficit e l’uso di nuove metodologie di studio delle reti cerebrali non invasive e con costi limitati apre alla possibilità di capire i correlati neurali della consapevolezza a partire dai suoi deficit”.