Il Consiglio di Stato, sez. IV, nell’Ordinanza n. 5454 del 15 settembre 2020 rimette all’Adunanza plenaria dello stesso la questione dell’applicabilità o meno nei confronti del curatore fallimentare degli obblighi del principio comunitario del “chi inquina paga” di cui all’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006.
L’art. 192 del D.Lgs. 152/2016 esplicita il principio comunitario del “chi inquina paga” contenuto nella direttiva 2004/35/CE del Parlamento e Consiglio europeo sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, e stabilisce che – in tema di abbandono di rifiuti – risponda “chiunque” abbia effettuato l’abbandono, il “deposito incontrollato” o “l’immissione dei rifiuti”, in solido con il proprietario del suolo (e con i titolari dei diritti reali di godimento), rispetto al quale deve esservi “un adeguato accertamento della sua responsabilità da effettuarsi in contraddittorio, ancorché basato su presunzioni, e secondo criteri di ragionevole esigibilità, coerenti con il principio colpevolistico, per il quale rilevano non solo le condotte attive dolose, ma anche quelle omissive colpose, caratterizzate dalla negligenza”.
Quanto all’individuazione dei soggetti imputabili della responsabilità del recupero o dello smaltimento dei rifiuti e del ripristino dello stato dei luoghi, è stato anche sottolineato che la relativa ordinanza non ha finalità sanzionatoria o ripristinatoria e pertanto può essere imposta a prescindere dall’individuazione dell’eventuale responsabile. In sostanza, l’ordine di rimozione dei rifiuti può essere adottato anche nei confronti del proprietario o del detentore incolpevole.
In questo quadro, risulta tuttavia controverso se anche il curatore fallimentare, nel caso in cui la società proprietaria dell’area sia stata dichiarata fallita, possa essere destinatario degli obblighi di cui al citato art. 192.
Una prima tesi evidenzia che il curatore fallimentare, con riferimento ai beni del soggetto fallito, non può essere destinatario del provvedimento che impone la rimozione dei rifiuti, in quanto il curatore non può essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita, anche perché la società dichiarata fallita conserverebbe la propria soggettività giuridica e rimarrebbe titolare del proprio patrimonio.
Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo subentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito in via generale non sarebbe rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge.
Tuttavia la Sezione ritiene che vada preferita l’opposta opzione interpretativa, secondo cui la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, comporta la sua possibile legittimazione passiva all’ordine di rimozione. In sostanza, nella predetta situazione la responsabilità alla rimozione non potrebbe di certo essere riferita all’impresa, in quanto non più in attività.
Conseguentemente, l’unica interpretazione compatibile con il sistema delineato dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, sarebbe quella che consenta all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei detentori o dei gestori – “comunque denominati” – dei rifiuti prodotti dall’impresa cessata.
L’elemento decisivo è il carattere materiale della detenzione dei rifiuti. In tale contesto, la detenzione dei rifiuti fa quindi sorgere automaticamente un’obbligazione avente un duplice contenuto: il divieto di abbandonare i rifiuti e l’obbligo di smaltire gli stessi. Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati, può, in definitiva, invocare la prevista cd “esimente interna”.
Nel quadro sopra delineato, la curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell’esimente di cui all’art. 192, lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall’attività imprenditoriale dell’impresa cessata.
Nella qualità di detentore dei rifiuti secondo il diritto comunitario, il curatore fallimentare sarebbe perciò obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero. Ciò premesso, stante l’esposto contrasto giurisprudenziale ed in considerazione, ad ogni buon conto, della particolare rilevanza della questione, il Collegio ha ritenuto opportuno deferire l’affare all’Adunanza plenaria.
Segnalo che l’esito decisorio impatterà a Verona relativamente al deposito incontrollato di rifiuti presso la società Cartiera di Cadidavid Srl attualmente in procedura fallimentare ed oggetto di specifica Ordinanza sindacale, la n. 61 del 10 luglio 2020, inviata al curatore fallimentare (qui nostro articolo).
Alberto Speciale