Marina Sorina
Cento di questi giorni! Anzi no: non auguro a nessuno di vivere come abbiamo vissuto questa primavera noi, ucraini. Pur vivendo distanti, ci svegliamo di scatto all’alba come se le bombe cadessero vicino, non sapendo chi dei nostri cari rimarrà senza casa o senza vita stamattina.
Credo che ormai sono poche le persone indifferenti alla tragedia del popolo ucraino. La solidarietà nei primi mesi era tanta, l’accoglienza calorosa e concreta, soprattutto da parte delle numerose associazioni di volontariato e dei privati sensibili al dolore altrui. Ma le emozioni sfumano con il passar dei giorni, e pian pianino l’attenzione si dissolve. Nella cerchia degli aiuti restano solo le persone che hanno un legame personale con l’Ucraina. Alcuni ne erano alleati da tanto tempo: amici, parenti, colleghi dei numerosi ucraini residenti a Verona. I legami creativi, sociali, economici andavano ramificandosi a tutti i livelli. C’era chi ospitava bambini ucraini d’estate o chi organizzava spettacoli teatrali a Kyiv. C’è anche chi si è svegliato a febbraio, e da allora non si da requie: appassionandosi all’argomento cercano di capire le ragioni della crisi attuale parlando con i diretti interessati o leggendo i libri. La gente di buona volontà si trova in città e in contado, a livello capillare; tanto è vero che nella sola lista della nostra coalizione, Più Europa / Azione, ho trovato con piacevole sorpresa persone che hanno lavorato per anni a Kyiv, o che ora ospitano dei profughi, o gestiscono progetti ben più complessi per fornire l’accesso ai corsi di lingua a chi è rimasto senza computer, e sono certa che fra i sostenitori del candidato sindaco Tommasi ce ne sono tanti altri. Eppure, queste persone attive ed empatiche sono la minoranza. La maggioranza si è stancata di vedere foto strazianti: l’umana compassione è evaporata con la prime giornate di sole. La voglia di normalità e business as usual è prevalsa sull’empatia. È naturale che gli italiani si comportino in questo modo oscillante, dalla pietà all’indifferenza? Beh, non è sorprendente, se la stessa classe politica a dare l’esempio, fra la destra improvvisamente pacifista e certa sinistra nostalgica dell’Unione Sovietica.
Quello che sorprende è la mancanza di dignità: Putin ha respinto le richieste del papa Francesco di liberare i civili dei sotterranei di Azovstal, ha rifiutato il piano di pace italiano, proposto da Mario Draghi. Ha fatto capire tramite i suoi emissari prezzolati, ospiti della poco schizzinosa Tv generalista, che degli italiani ha una stima piuttosto bassa. Eppure c’è ancora qui da noi chi si preoccupa di aiutare a “salvargli la faccia”, cercando di accontentare le sue folli pretese.
Nel limbo fra l’attivismo e l’indifferenza, un cerchio di fuoco di chi, invece di aggiornarsi, ha tirato fuori dall’armadio gli spettri di categorie ideologiche preimpostate che mal si addicono alla complessità della situazione. Questi leoni da tastiera spendono giornate a mettere i like sorridenti sotto le notizie tragiche, a dubitare dell’ovvio e a credere nell’improbabile. Nel ripetere i triti argomenti della propaganda russa, pretendendo che l’Ucraina debba arrendersi, regalando ai russi il proprio territorio. si schierano con l’aggressore e, senza nemmeno rendersi conto, diventandone complici.
Con questo background poco rassicurante, mi ha fatto tanto piacere scoprire che il 2 giugno, con un voto unanime al Congresso dell’ALDE, riunito a Dublino, “Servitore del Popolo”, il partito guidato del presidente ucraino Zelenskyi, è entrato a fare parte della famiglia politica dei liberali europei. È un chiaro segno di fratellanza e di comunità di intenti che testimonia la volontà di perseguire il disegno riformatore per portare l’Ucraina nel novero dei paesi europei ispirati alla libertà, alla democrazia e allo stato di diritto. Valori che sono profondamente estranei alla Russia odierna e che irritano i vertici russi al punto tale da giustificare un’invasione militare. Al di là degli evidenti vantaggi economici e geopolitici, conquistare l’Ucraina significa per la Russia anche umiliare l’Occidente democratico, evidenziarne le debolezze, accentuare le crepe fra diversi paesi e schieramenti. Proprio per questo è così importante la netta posizione europeista ed atlantista del governo Draghi, del sottosegretario agli esteri Della Vedova. Abbiamo una guerra a difesa dell’Europa da vincere: quelli che giustificano le reticenze all’invio delle armi all’Ucraina con il timore di “terza guerra mondiale” non si sono accorti che è già iniziata, e se non la si ferma al più presto contrattaccando l’aggressore, arriverà a propagarsi su tutto il continente, prima o poi.
Solo dopo aver respinto la slavina rashista, potremo dedicarci ad altre questioni impellenti, come la creazione di un esercito comune europeo, della politica dell’immigrazione, della biotecnologia in agricoltura per far fronte alla crisi alimentare. Intanto, un altro gesto forte che esprime il sostegno dall’Europa all’Ucraina è la recente approvazione del sesto pacchetto delle sanzioni. Trovare consenso di tutti era faticoso: ci sono volute molte settimane di stallo e di negoziati, con le forze centripete pro-russe che fanno di tutto per frenare le misure economiche che potrebbero indebolire l’aggressore. Nonostante i ricatti dell’Ungheria, le nuove sanzioni prevedono l’estensione delle precedenti misure contro le banche e i vertici del governo putiniano e la rinuncia al circa 90% del petrolio russo, da sostituire con altre fonti. Se così sarà, forse non tutto il male viene a nuocere, e sarà la volta buona per pensare ad integrare le fonti di approvvigionamento tradizionali con le tecnologie rinnovabili?