di Lorenzo Dalai
Per capire i fenomeni sociali occorre quasi sempre andare a ritroso nel tempo, pertanto, superato il primo ”uffa”, forse un po’ di interesse penso si possa trovare nelle righe seguenti .
Circa trent’anni fa esistevano in Italia più di centomila negozi di genere alimentari , un sistema distributivo arcaico e polverizzato , che non poteva offrire prezzi competitivi e assortimenti adeguati ai tempi moderni , ci dicevano…
Cominciarono così a nascere i primi supermercati , subito incalzati da ipermercati e centri commerciali: offerte speciali, assortimenti vasti, con novità continue e allestimenti sempre più accattivanti!
E cominciarono a morire i piccoli negozi di alimentari, quelli della ”siora Maria” per intenderci; oggi ne restano meno di un terzo concentrati nei piccolissimi centri, soprattutto al sud. Poiché si trattava prevalentemente di conduzioni familiari ed il processo si sviluppò lentamente, riassorbire più di 200.000 lavoratori non fu difficilissimo, ma chi visse il fenomeno sulla propria pelle forse avrebbe qualche rimostranza da fare.
Così, sull’esempio della Francia, leader mondiale del settore, cominciammo ad avere anche noi sempre più gigantesche strutture, per lo più collocate in periferia o fuori città, dove si và in auto, all’andata vuota, al ritorno colma di tutto quello che può servire alla famiglia moderna, a volte c’è anche parecchio superfluo, ma è la modernità che avanza. Nel contempo la ristrutturazione distributiva ha cominciato ad interessare anche il non food e così pian piano i quartieri si trovano senza negozi di prossimità, con servizi sempre più scarsi.
Oggi non possiamo più acquistare due lampadine e mezzo chilo di pomodori, che necessitano urgenti, dobbiamo diligentemente preparare un listone, salire in auto, farci i nostri 5-10 chilometri e la fila per il parcheggio, perdere due-tre ore, lavorare per riempire il carrello, svuotare il carrello sul nastro della cassa, riempire le sporte, pardon shoppers, caricarle in auto, portarle in casa e sistemare il tutto: nella dispensa, nel frigorifero, nel freezer, in cantina. Ma chissà che bel risparmio! Se ci fosse ancora la siora Maria, da lei di sicuro spendevo il doppio!
Certo il comune o la provincia hanno dovuto modificare la viabilità, abbiamo prodotto un bel po’ di smog con la nostra auto, che tra una cosa e l’altra ( carburante , costo iniziale , manutenzioni ) costa esageratamente cara, un esercito di piccoli commercianti si è dovuto riciclare sul mercato del lavoro, la nostra cara zia, che non ha l’automobile, ogni tanto dobbiamo accompagnarla, perché anche lei deve far la spesa. A proposito e gli anziani che non hanno parenti disponibili come se la sbrogliano? Autobus per i centri commerciali non ce ne sono; boh, qualcuno ci penserà?! forse i servizi sociali del comune, tanto sennò cosa fanno?
I piccoli commercianti si sono forse riciclati, chi gli aveva dato in locazione il negozio ha attaccato da un bel po’ il cartello “affittasi “ sulle vetrine, il falegname, l’elettricista, il frigorista di lavoro ne hanno sempre ( è sperabile …) .La domanda che sorge spontanea è: come mai queste categorie hanno sempre votato in un certo modo… non è che hanno equivocato il termine “conservatore”? magari pensavano che quei partiti gli avrebbero “conservato” il lavoro. Ma non avevano fatto i conti con il mercato! Chissà perché da un po’ di tempo non se ne parla più di questo Mercato, che sia perché ”globalizzato” piace meno? Intanto a noi, collettività, restano i costi sociali, da pagare con mancata riduzione delle tasse, salari e pensioni sempre più inadeguati, aria irrespirabile.
Ma abbiamo tanti bei centri commerciali, sempre aperti, tanti altri ne apriranno, l’imbarazzo della scelta è il nostro nuovo problema!