Negli ultimi anni la Suprema Corte ha avuto modo di affrontare, in più occasioni, la tematica relativa alle unioni di fatto ed, in particolare, il caso di cessazione di tali tipi di rapporti.
Sappiamo tutti che, ad oggi, non vi è stato alcun intervento legislativo teso a disciplinare le unioni di fatto, sebbene siano in esponenziale crescita, rispetto ai matrimoni.
Di fronte alle “lacune” del legislatore provvede la Corte con le sue pronunce che, nell’affrontare le situazioni più diverse, si esprime con chiarezza, dando la soluzione a tante situazioni che di fatto non trovano alcun riscontro normativo.
Si veda, ad esempio, il caso diffusissimo di una coppia di fatto che, dopo anni di una stabile e duratura convivenza, tesa a formare una famiglia, si lascia.
Orbene, che succede per il convivente che non è proprietario dell’appartamento ove hanno convissuto per tanto tempo?
Viene sbattuto fuori il giorno dopo?
Ecco, sul punto la Corte risponde di no, sancendo il diritto dell’ex convivente (non proprietario) a rimanere nell’immobile ed abitarvi, finché non ha trovato una nuova sistemazione.
Attenzione,però!
Così statuendo la Suprema Corte non ha inteso porre sullo stesso piano matrimonio e convivenza ma solo “offrire” tutela al convivente non proprietario.
È evidente che quest’ultimo non può approfittarsene e rimanere nell’immobile vita natural durante.
Il proprietario dell’abitazione, una volta cessato il rapporto affettivo, ha l’obbligo di avvisare l’ex partner del l’intenzione di voler rientrare nella disponibilità esclusiva del proprio immobile e di concedergli un congruo termine per reperire una nuova sistemazione.
Speriamo che questo orientamento giurisprudenziale possa essere di spunto per un repentino intervento del legislatore in materia!