Aquileia: uno dei siti archeologici più affascinanti d’Italia, premesso che è una bella lotta classificare le bellezze nazionali. I primi insediamenti risalgono al sec.IX a.C., presso un fiume che poi i romani, nel sec. II a.C., resero navigabile, originando uno dei più importanti porti dell’epoca: largo 48 metri e lungo oltre 400, elesse la città a capitale della X regio dell’impero, la Venetia et Histria, affiancandola, per importanza e prosperità, a Milano, Capua e Pompei.
La terza campagna di scavo coordinata dall’università di Verona si è conclusa il 23 giugno scorso, svelato rilevanti nuovi aspetti planimetrici, costruttivi e decorativi dell’anfiteatro romano della località, che lo assimilano, in versione ridotta, all’Arena di Verona, per similarità architettonica. A seguire le indagini è stata una équipe del dipartimento Culture e Civiltà dell’ateneo scaligero, diretto da Gian Paolo Romagnani, con la supervisione della professoressa Patrizia Basso. L’intervento è stato condotto su concessione di scavo ministeriale, in accordo con la soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia; ai lavori hanno partecipato anche gli studenti della laurea magistrale interateneo in Quaternario, preistoria e archeologia delle università di Verona, Ferrara, Trento e Modena, oltre a studenti, dottorandi e dottori di ricerca delle università di Verona, Bologna e dell’ateneo di Ghent, Belgio.
Cosa è venuto alla luce, rispetto a quanto già noto? Dell’anfiteatro romano di Aquileia – ove si svolgevano spettacoli gladiatori e cacce agli animali – si conosceva l’ubicazione nel quadro della città romana, ma rimanevano ancora da chiarire numerosi aspetti architettonico-strutturali e l’inquadramento cronologico. “Attraverso una serie di ampliamenti e approfondimenti mirati delle aree già scavate nel corso degli anni 2015-2016 – spiega la professoressa Basso – la campagna 2017 ha portato a grandi novità scientifiche per la comprensione dell’anfiteatro, tali da integrare la conoscenza che se ne aveva per tutta una serie di aspetti planimetrici, costruttivi e decorativi. In particolare quest’anno si è messa in luce un’intera porzione dell’ellisse, compresa fra due dei corridoi radiali che permettevano l’ingresso all’arena: la modularità della costruzione e il confronto con i dati raccolti nel corso delle indagini otto e novecentesche ci hanno permesso così di ricostruire l’intera pianta del monumento. Si trattava di una costruzione davvero imponente, che misurava 142 metri sull’asse maggiore e 107 metri sul minore, poco più piccola dell’arena veronese, cui era simile architettonicamente”.
L’edificio si ergeva su un sistema di murature ellittiche e radiali, a sostegno delle gradinate, impostate su una poderosa massicciata di fondazione; ai piedi della cavea si apriva una larga canaletta in mattoni sesquipedali in ottimo stato di conservazione, per quanto coperta dall’acqua di falda attualmente più alta rispetto all’età romana, oltre la quale si innalzava un muro che correva tutto attorno all’arena – al fine di proteggere gli spettatori dagli animali che nello spazio agonale si scontravano con i gladiatori – e di cui si sono rinvenuti in crollo alcuni degli elementi architettonici che lo decoravano. Di particolare interesse, anche ai fini di un’eventuale, futura valorizzazione, risultano alcune murature dell’edificio che si conservano in alzato per 1.70 metri in altezza: si tratta del muro ellittico e di alcuni dei muri radiali disposti su due raggiere concentriche a sostegno delle gradinate per il pubblico.
Concluso l’uso primario per spettacoli attorno al IV secolo d.C., come sembrano attestare alcune monete e materiali raccolti, il luogo conobbe presto una nuova frequentazione; i muri radiali, ancora almeno in parte in alzato, vennero infatti usati fra V e VII secolo per realizzare modeste strutture abitative, di cui gli scavi hanno evidenziato piani d’uso e focolari. In seguito le murature antiche furono soggette ad una serie di spoliazioni che si protrassero nei secoli almeno fino al 1700, confermate in particolare dal rinvenimento di una larga calcara, ove le pietre dell’edificio vennero trasformate, appunto, in calce. “Tuttavia – prosegue Basso – per quanto riguarda la puntuale definizione cronologica delle varie fasi di frequentazione del sito, come per quelle di costruzione e uso del monumento, si resta in attesa dello studio dei materiali raccolti e delle analisi al C14 e archeometriche, tuttora in corso di realizzazione” .
Gli scavi condotti dal 2015 ad oggi dall’Università di Verona hanno permesso, in sostanza, di capire dimensioni, articolazione planimetrica e sistema costruttivo di questo monumento, che doveva essere una delle costruzioni più grandi e complesse di Aquileia, in considerazione anche del terreno molto difficile dal punto di vista idrologico in cui esso venne realizzato. “Facendo sistema – aggiunge Basso – anche con le università di Padova e di Udine che attualmente stanno scavando le vicine aree del teatro e delle terme, con queste nuove ricerche si intende contribuire alla conoscenza dei grandi monumenti pubblici e alla ricostruzione della fisionomia urbana di una città come Aquileia, che in età romana era una delle più importanti e ricche della Cisalpina”.