Catullo e D’annunzio gli scali che da opportunità stanno diventando solo costi, grazie a SAVE.
In stile hollywoodiano il presidente di Save Enrico Marchi annuncia il raddoppio per l’aeroporto di Venezia Tessera. Un progetto, quello del raddoppio dello scalo lagunare, che genera comunque forti dubbi sulla sua fattibilità economica, ambientale ed operativa. Venezia è un sito meraviglioso ma anche un “cul de sac” affacciato sul mare e serve la città museo di Venezia. In un bacino d’utenza oggettivamente limitato ad est dal mare Adriatico, in un’area non ancora risollevata dopo il declino industriale, e quindi che opera in un bacino circoscritto. Dichiarare l’obiettivo di 20 milioni di passeggeri ci sembra quanto meno azzardato, non solo perché il territorio non è generatore di traffico a 360°, ma soprattutto perché con la disponibilità di una sola pista di volo, con una spiccata stagionalità nei voli, specie quelli di lungo raggio, sarà molto difficile poter raggiungere il numero di 20 milioni di passeggeri. Si sa le previsioni “ottimistiche” servono per giustificare investimenti spesso eccessivi. Questo ambizioso traguardo, se ipotizzassimo di poterlo realizzare con una sola pista di volo, dovrebbe essere comunque in gran parte reperito a spese degli scali circostanti tra cui proprio lo scalo di Verona, controllato dalla SAVE. Ponendoci, dunque, alcuni dubbi circa i proclami ascoltati, rimane invece una certezza la pioggia di investimenti in infrastrutture aeroportuali sugli scali del nord Italia. Bergamo ha messo in cantiere 435 milioni da investire entro il 2030 per le attività merci e di potenziamento passeggeri, nonostante sia assediato dalle case e debba affrontare agguerriti comitati antirumore. Lo scalo orobico si è prepotentemente piazzato al 3° posto in Italia dopo Roma Fiumicino e Milano Malpensa; Bologna invece investirà 285 milioni entro il 2022 per l’ampliamento dell’aerostazione e come già evidenziato, la SAVE con 575 milioni entro il 2021 potenzierà lo scalo di Tessera.
In questo scenario di grande sviluppo e investimenti nel business aeroportuale dal nord-est rimangono fuori gli scali del Garda, con Verona e Brescia sotto tutela della SAVE. I “competitors”, rimangono così come sono, con al massimo un parziale revamping di un’aerostazione obsoleta e specialmente per aumentare le aree commerciali e quindi il segmento non aviation.
Questo è molto più di un’azzardata ipotesi, per voler far crescere Venezia fino agli ipotetici 20 milioni di passeggeri serve comunque limitare i “competitors” e tentare di convogliare in laguna parte di questo traffico. Con Verona che è sotto telecontrollo da parte di SAVE ciò è possibile, con gli altri scali che vivono di vita propria decisamente meno. Non possiamo incolpare totalmente la SAVE e Marchi, che fa i propri interessi, di questo salasso programmato: bisogna evidenziare purtroppo che i soci pubblici della Catullo non hanno mai colto l’opportunità della domanda di traffico di un ricco territorio con congrui investimenti. Ecco perché chiediamo da sempre una gara per l’affidamento della concessione a Brescia e Verona, e il ritorno del controllo della proprietà pubblica alla Catullo spa. Solo cosi saranno possibili interventi che “peschino” la ricchezza generata nei rispettivi bacini d’utenza. Non solo ricchezza e servizi per i cittadini, e le imprese, e con il loro rilancio si realizzerebbe il tanto necessario riequilibrio dei traffici aerei. Traffici oggi troppo concentrati su Bergamo e Venezia.
Così Bergamo, Bologna, Treviso e Venezia hanno incrementato la loro capacità aeroportuale in modo significativo negli ultimi vent’anni, la Catullo e la D’annunzio no. Una grave mancanza di capacità gestionale da parte della Catullo stessa, che infatti oggi paga un prezzo importante per non aver investito quando tutti gli altri scali limitrofi offrono migliori e più efficaci collegamenti in strutture piacevoli, moderne, e dotati di tecnologie al passo con i tempi.
Per lo scalo di Verona da anni si ripete che sembra siano stati previsti investimenti per circa 60 milioni di euro. Ci chiediamo se, di fronte ad investimenti di tutt’altra portata degli altri scali limitrofi, Catullo investirà solamente 60 milioni di euro entro il 2030 (vedi tabella). Una situazione paradossale che dovrebbe preoccupare non poco i soci pubblici e in ricaduta tutto il territorio del Garda, essendo uno dei bacini turistici più sguarniti d’Italia. Da un punto di vista strategico, gli aeroporti di Verona e Brescia saranno ulteriormente “surclassati” quanto a capacità aeroportuale, attrattiva verso i vettori e i passeggeri rispetto altri scali concorrenti, che investono in modo importante in infrastrutture, sottosistemi, tecnologia innovativa, nei loro aeroporti per dare capacità efficiente e rendere gradevole la “customer experience” ai clienti, fattore oggi sempre più ricercato.
Investire 60 milioni di euro è davvero poca cosa vista la posta in gioco. Il futuro ruolo previsto per lo scalo di Verona nello scacchiere degli scali del Nord Italia non è certo da protagonista. C’è da evidenziare anche che dello scalo di Brescia non si parli mai, se non nelle periodiche dichiarazioni che gli attribuiscono la maggior parte della colpa per le croniche perdite di bilancio della Catullo, creando sempre più imbarazzo per i soci Catullo, ma soprattutto per ENAC e per il Ministero dei Trasporti che lo tengono ancora aperto con molti costi a carico degli Enti di Stato.
Quindi nulla di buono all’orizzonte per la Catullo e per Verona. Gli scali del Garda pagano a caro prezzo la gestione politicizzata e consociativa della società. Decenni di mancati investimenti, di treni persi, di promesse disattese, per poi finire nelle mani del diretto concorrente è l’emblema di quello che succede a Verona da troppi anni e ne sta compromettendo sempre di più il futuro, generando nuovi costi pubblici.
Si, è proprio così Verona, vittima di se stessa e della propria sottocultura. Chissà chi leggerà queste analisi precise quanto crudeli; chi dei nostri governanti locali saprà cogliere il dramma politico, istituzionale ed economico che si sta abbattendo sulla città? Dov’è la libera stampa, se non la sola Veronanews?
Il Direttore de L’Arena quali domande si pone e quale servizio rende alla Città se tiene nascoste le fregature? A chi giova tanto falso pudore che assomiglia però all’omertà? Ne vale del futuro della nostra città; a meno che la vera strategia dei consociati sia quella di tenere Verona nel limbo di un anonimo basso profilo. Qualche segnale lo vediamo: Catullo appunto, Università ferma al palo da troppo tempo, urbanistica demodé e orizzontale con consumo di suolo, innovazione difficile, coraggio istituzionale assente, stampa di massa provinciale e populista, eccetera. Il futuro mette paura ai veronesi. Preferiscono accontentarsi di quello che già hanno e all’orizzonte non c’è nessuno che lo sappia trascinare appunto nel futuro e far innamorare di un mondo nuovo e diverso ……dalle notizie delle pecore in tangenziale o dei cinghiali in Valpolicella o dei 50 commercianti che vorrebbero fare a meno dei mercatini e dei milioni di visitatori perché preferiscono le loro botteghe piene anziché le piazze. Mah! Verona è piccola, capitale di sottocultura e del “volemose ben” del consociativismo, vero grande male nostro. Dunque, come possiamo aspirare ad avere sviluppo? Guardate la modernità di Bergamo o l’eleganza di Treviso o l’attrattivita’ di Bologna oppure la dialettica vivace di Parma e Modena ma anche la scienza di Padova e Trieste. Verona dorme ed ha un Re tentenna che la rappresenta degnamente. Scusate lo sfogo. Mi piace la rivoluzione.