A Soave per richiedere la cittadinanza italiana “iure sanguinis” si paga la tassa

 
 

Argertina, Brasile ma anche Venezuela e Paraguay, sono questi i principali paesi di origine di numerosi cittadini stranieri che, vantando origini italiane, e venete in particolare, ogni anno avviano le pratiche necessarie ad ottenere la cittadinanza italiana. 

La possibilità per queste persone di divenire cittadini italiani, mantenendo anche il passaporto del loro paese di nascita, è assicurata dalla legge n. 91 del 1992, la quale disciplina l’applicazione del diritto di cittadinanza cosiddetto “iure sanguinis”.

Una norma che, appunto, esiste da oltre tre decenni ma che fino al 2022 veniva raramente invocata dai discendenti degli emigrati italiani partiti alla volta del sudamerica in cerca di fortuna.

La situazione è radicalmente cambiata nel corso degli ultimi anni, con un esponenziale aumento delle domande di cittadinanza italiana provenienti in modo particolare dal Brasile, dove sono nate anche numerose agenzie che si occupano proprio di supportare gli interessati nell’iter burocratico, grazie anche all’interessamento di avvocati italiani e brasiliani.

Una vera e propria corsa alla cittadinanza da parte di una platea che, nella sua interezza, si stima essere di oltre 30 milioni di persone, e che ha finito per mettere in crisi numerosi Comuni.

Infatti, l’avvio dell’iter di riconoscimento della cittadinanza presuppone che l’interessato disponga degli atti di nascita dei propri avi, così da poterne dimostrare la discendenza. 

Documenti, però, di cui spesso gli interessati non sono in possesso, con la logica conseguenza di doverli richiedere alle anagrafi dei Comuni dai quali a metà ottocento gli avi sono partiti.

Da qui l’avvio da parte dei funzionari comunali di ricerche d’archivio spesso molto complesse, riguardanti persone emigrate dall’italia oltre centocinquanta anni fa e defunte da più di un secolo, partendo spesso da informazioni errate o incomplete, poiché tramandate nei secoli solo in forma orale.

Una situazione che ha portato alla quasi paralisi degli uffici anagrafe di qualche centinaio di Comuni veneti, sollevando le proteste dei sindaci, che da tempo chiedono una modifica della norma sull’accesso alla cittadinanza da parte dei discendenti degli emigrati italiani.

Il problema ha anche toccato la Corte d’Appello di Venezia, anch’essa chiamata a gestire i processi di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis per via giudiziaria, con una mole di oltre mille nuove domande al mese e che riguardano, secondo una stima, circa 150.000 persone, come ha sottolineato con toni preoccupati il Presidente della Corte d’appello di Venezia, Carlo Citterio, durante l’apertura dell’anno giudiziario 2024. 

In tutto questo caos giuridico, nel 2022, il Comune di Soave si era mosso in autonomia allo scopo di limitare l’impatto delle domande di cittadinanza iure sanguinis sull’attività dell’ufficio anagrafe, anche in questa località registrate al ritmo di un centinaio al mese, istituendo uno speciale tributo da pagare all’atto della presentazione della domanda, una vera e propria tassa sulla cittadinanza, istituita per la prima volta in Italia proprio nella cittadina murata dell’est veronese.

L’idea, come spiega il sindaco Matteo Pressi, era nata dalla necessità di gestire i costi generati da questa situazione: “da anni i nostri impiegati utilizzavano gran parte del loro tempo per ricercare e produrre i certificati richiesti dai discendenti degli avi emigrati. I costi del personale, però, rimanevano a carico del Comune. Una situazione iniqua, poichè i nostri impiegati, pagati con le nostre disponibilità, lavoravano a tempo pieno per quelli che, fino a prova contraria, sono cittadini stranieri, in ogni caso non residenti qui”.

Da qui l’idea dell’amministrazione comunale di far pagare un tributo, da 500 a 1.000 euro, per ogni domanda depositata, con l’obiettivo di pareggiare i costi sostenuti per retribuire il personale addetto all’attività di ricerca degli atti e stesura dei certificati. 

Ne era nata una polemica, con la dura presa di posizione di alcuni avvocati specializzati in diritto dell’immigrazione, i quali ritenevano illegittima la pretesa del Comune, minacciando ricorsi legali contro un tributo che, a loro giudizio, non era da considerarsi legittimo. 

Tutto ciò, tuttavia, non ha impedito al Comune di proseguire sulla propria strada, applicando il tributo che ora, ed è proprio la novità di questi giorni, viene addirittura copiato dallo Stato. 

Il riferimento è alla finanziaria recentemente approvata dal Parlamento e che, tra i tanti aspetti, introduce proprio una nuova tassa sulla richiesta di cittadinanza iure sanguinis, stabilita nella misura di 600 euro, che i Comuni potranno istituire e incassare proprio per sostenere gli oneri amministrativi legati alle ricerche anagrafiche e alla produzione dei certificati, sostanzialmente riproducendo nella legge di bilancio l’idea lanciata due anni e mezzo fa dal sindaco di Soave.

Come sottolinea il sindaco Matteo Pressi: “siamo stati i primi in Italia ad istituire questo tributo utilizzando le norme in materia di autonomia impositiva degli enti locali. Ben venga ora questa norma statale che conferma la bontà di quanto da noi già attuato due anni e mezzo fa”.

Un tributo che, dalla sua istituzione, ha visto calare la mole di domande presentate al Comune, come commenta il primo cittadino, secondo il quale: “oggi le domande arrivano solo da parte di coloro che sono realmente interessati ad ottenere la cittadinanza e quindi sono disponibili a sostenere dei costi. Prima, anche a causa di una intensa pubblicità realizzata dalle agenzie di disbrigo pratiche in Brasile, interessate ad ampliare la propria clientela, arrivavano domande cumulative, riguardanti anche decine di persone dello stesso nucleo famigliare, che in realtà volevano il passaporto italiano solo per entrare più agevolmente negli USA”.

Un fatto, questo, più volte denunciato dai primi cittadini veneti, che da tempo evidenziano come le richieste di cittadinanza, in molti casi, siano diretti ad ottenere un passaporto comunitario, il quale consente una libertà di movimento sia in Europa che nel nord America molto più ampia rispetto a quella offerta dai passaporti dei Paesi dell’America latina. 

Come sottolinea Pressi: “non escludo che per alcuni ci sia anche l’aspetto sentimentale di conoscere e divenire cittadini della terra dei propri avi. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, parliamo di persone nate in sudamerica e che non sono mai state in Italia, non parlano la nostra lingua, né hanno intenzione di trasferirsi qui. Tuttavia, per loro, disporre di un passaporto italiano è un enorme vantaggio poiché consente di trasferirsi in tutta l’Unione Europea senza alcuna difficoltà, diversamente da quanto accadrebbe utilizzando la loro nazionalità di origine. C’è poi, attorno a questo tema, anche un grosso mercato, con centinaia di agenzie che sono spuntate sia in Italia che in Brasile e che dietro pagamento di ingenti onorari si occupano di sbrigare la pratica di cittadinanza”, conclude il sindaco. 

La palla passa ora ai Comuni, i quali dovranno prevedere l’istituzione del tributo e gestire la sua riscossione, in applicazione di quanto previsto dalla legge di bilancio, con la speranza da parte dei primi cittadini che questa si confermi una misura utile a limitare la presentazione delle istanze alle sole persone realmente interessate.