Stefano Valdegamberi
Prolificano in questi giorni gli interventi dei movimenti ambientalisti contro la legge che la Regione Veneto ha approvato, su mia proposta, che prevede la possibilità per i sindaci di rivedere i confini e la zonizzazione del Parco regionale della Lessinia.
Noto come la quasi totalità di questi interventi provengono da persone che vivono ben lontane da questa realtà montana di cui hanno a volte una visione bucolico-fiabesca fuori dalla realtà di chi quotidianamente ci vive e ci lavora e, nonostante le mille difficoltà, continua a crederci e a programmare quassù il futuro per sè e per i propri figli.
La montagna è di tutti, è vero. Ma lo è anche la città e la pianura dove essi vivono e dove non hanno fatto nulla perché non venisse sfregiata, pensando ora di ripulirsi la coscienza creando una zona di riserva indiana dove tutto è proibito o reso complicato, compreso l’esercizio della tradizionale attività agro-silvo-pastorale.
Coloro che amano più di tutti la nostra bella montagna sono i montanari che, nonostante le mille sirene che ogni giorno li porterebbero a scendere verso la città, ancor oggi resistono e qui hanno deciso di sviluppare le loro attività e di dare un futuro ai loro figli.
Per loro vivere in montagna è una sfida quotidiana. Fin da piccoli devono fare sacrifici enormi per raggiungere le scuole, tutte concentrate attorno alla città, alzandosi due ore prima e rincasando due ore dopo rispetto ai loro compagni della città, pagando il trasporto pubblico fino a quattro volte tanto.
Per fare la spesa, la grande distribuzione cittadina ha fatto chiudere quasi tutti in negozi di montagna e per acquistare un detersivo o un chilo di pane occorre fare anche decine di chilometri.
Per andare al pronto soccorso o all’ospedale devono percorre distanze tre – quattro volte superiori agli altri concittadini, a rischio anche della vita. Lo stesso dicasi per tutti gli altri servizi pubblici o privati.
Quanto al lavoro moltissimi sono pendolari, come il sottoscritto. Percorrono migliaia di chilometri in più all’anno degli altri. Quei pochi lavori rimasti sul territorio sono limitati nel corso degli anni da una sommatoria di vincoli burocratici che ogni giorno mettono sotto ricatto queste attività, soprattutto quelle agricole e silvo-pastorali.
Direttive assurde stabiliscono i giorni in cui puoi spargere il letame e quelli in cui è vietato. Poco importa se quelli in cui è possibile le condizioni meteoriche non ti permettono di farlo. Per pulire la pozza di abbeveraggio del bestiame, operazione fatta per migliaia di anni dai malgari, ci vuole domanda in carta bollata e attesa di mesi per la risposta.
Per riassettare un muretto in pietra che è caduto servono montagne di carte e permessi, come si dovesse costruire una casa. Se devi inghiaiare la strada dilavata dall’ultimo temporale occorrono permessi su permessi.
Per aggiungere un piccolo vano per un servizio igienico ad una malga è proibito. Emblematico è un lavoro per collegare un impianto fotovoltaico ad un edificio pubblico: ci sono voluti anni di carte e di permessi.
Non è possibile dotare di un bagno un edificio utilizzato dal Cai: vietato fare i propri bisogni! E questo sarebbe il Parco che garantisce lo sviluppo della montagna veronese? La concezione ideologica e burocratica che alcune associazione ambientaliste perseguono di mantenere è la prima nemica dell’ambiente.
La Lessinia, è bella perché è stata plasmata dalla sapiente mano dell’uomo nel corso dei secoli. Anche l’uomo è parte integrante dell’ambiente che, grazie alla sua quotidiana attività, contribuisce a conservare.
Pensare ad un parco come landa deserta e disabitata, percorsa da scorribande di lupi è un’idea che non condividiamo. Lasciate che i sindaci della Lessinia, gli unici legittimi rappresentanti del territorio che amministrano, possano decidere serenamente in questi mesi. Non abbiamo bisogno di consigli da parte di quelli che non sono stati in grado di darci buoni esempi nella conservazione del territorio in cui vivono!