Più 38% su base provinciale; più 36% su base regionale e più 21% su base nazionale. E’ quello che è già stato battezzato come “l’anno nero della cassa integrazione”. I dati di consuntivo della Cig nel 2024, calcolati sulla base degli ultimi rilasci Inps relativi al quarto trimestre 2024, confermano la tendenza da parte delle imprese, già evidenziata nei mesi scorsi, ad accaparrarsi ammortizzatori sociali.
La nota ufficiale Inps che commenta in parte il dato nazionale tende a rassicurare sottolineando il fatto che solo una parte delle ore autorizzate sono state concretamente fruite. Tuttavia la crescita esponenziale delle richieste (tolto il periodo eccezionale del Covid 2020-2021) ci riporta ai livelli del 2015-2016, gli ultimi anni della lunga recessione dovuta ai subprime, ai derivati e alla crisi del debito sovrano.
“Oggetto della richiesta di cassa integrazione sono molte delle imprese che formano l’ossatura del nostro sistema manifatturiero nei vari settori, con particolare riguardo alla matelmeccanica e all’edilizia, che vivono una condizione di estrema incertezza a causa della mancanza di prospettive, risorse e guida sul tema della riconversione ecologica e digitale delle produzioni, argomento scomparso completamente dai radar della politica. Tutto questo è drammaticamente concreto e reale, come reali e gravidi di conseguenze negative sono i tagli alle pur poche politiche industriali in essere, ad esempio il fondo sull’automotive” spiega la Segretaria generale Cgil Verona Francesca Tornieri.
La provincia scaligera chiude il 2024 con 8.659.558 ore di cassa integrazione autorizzate (dato comprensivo di cig ordinaria, straordinaria e in deroga), il 38,2% in più rispetto al 2023 e il 396,8% in più rispetto al 2019, anno di minimo assoluto nell’ultimo quindicennio. Dopo il vertiginoso picco di settembre 2024 (1,48 milioni di ore) l’ultimo trimestre evidenzia un andamento della Cig in diminuzione con una media comunque molto sostenuta di 670 mila ore circa al mese.
Nel confronto con le 107 province italiane oggetto di monitoraggio, Verona è al 20° posto nel Paese in termini assoluti e al 46° posto in termini di aumento percentuale. Davanti a noi, le grandi metropoli come Torino, Milano, Napoli, Roma, Firenze; i territori che ospitano stabilimenti produttivi di rilevanza nazionale (ex Ilva, Stellantis) come Chieti, Frosinone, Taranto; numerose province venete a prevalente vocazione manifatturiera, come Vicenza (seconda in classifica con oltre 20 milione di ore), Treviso (15,6 milioni di ore), Padova (10,4 milioni di ore); territori confrontabili con il nostro anche per vocazione esportatrice come Brescia (19,7 milioni), Bergamo (15,6 milioni), Bologna (13,6 milioni), Modena (13,1 milioni), Varese (13,1 milioni), Reggio Emilia (11,6 milioni).
“La diversificazione produttiva contribuisce a mitigare gli effetti della crisi che è ampia e grave, tuttavia va ricordato che a tale diversificazione spesso corrisponde una differenziazione dei diritti tendente al ribasso, come nel turismo, che non è ancora in grado di destagionalizzarsi, oppure nell’agricoltura, che presenta ancora ampie sacche di lavoro illegale” continua Tornieri. “Va fatta una seria riflessione su quello che il nostro territorio e il nostro Paese vogliono diventare e mettere in campo le politiche industriali necessarie a realizzarlo. Si pone inoltre con sempre maggior forza il tema dei salari che la crescita del costo dell’energia, il mancato rinnovo di molti contratti di settore e le manovre del governo (ad esempio la nuova fiscalizzazione del taglio del cuneo contributivo) tendono a deprimere”.