Due luoghi significano amore a Verona: la casa di Giulietta e lo stadio Bentegodi, in entrambi palpitano i cuori. Ma qui ci terremo ben lontani dal parlar di tifo e fazioni, andando invece a raccontare un po’ di storia sportiva della città, a partire dal ritratto di quel Marcantonio Bentegodi, che meritò l’intitolazione dell’impianto – ribattezzato dai veronesi anche “stadio dei quarantamila” o “stadio del miliardo”, rispettivamente il numero degli spettatori e le spese per costruirlo – nel corso del campionato 1963/64, derby Verona-Venezia (0-1, per la cronaca). Fu consigliere comunale, nonché attivo dirigente nella diffusione dello sport fra i giovani, al punto che nel testamento – morì nel 1873 a soli 55 anni – dispose di destinare un quarto delle sue rendite al finanziamento delle discipline moderne.
Ma dove (e come) si giocava prima? Dietro piazza Cittadella, sopra l’odierno parcheggio Arena. Via Pallone non è un nome a caso: nel 1610 in questa zona, allora chiamata “del Crocefisso“ per la parrocchia omonima, il Municipio concesse un terreno per il popolare gioco del pallone a bracciale, narrato da Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, dopo aver assistito, il 16 settembre 1786, ad un incontro tra Verona e Vicenza, animato anche da scommesse: «Alla dovuta distanza vi sono due leggeri tavolati in pendenza. Il giocatore che deve colpire la palla sta al lato superiore, portando nella destra un bracciale di legno a punta. Un altro giocatore della sua squadra gli getta il pallone che deve colpire con impeto. Gli avversari tentano di ricacciare il pallone e così di seguito, finché la sfera non cade a terra».
Capiamo meglio: il sito www.pallonecolbracciale.com racconta che «pur avendo origini greco-romane, il gioco del pallone col bracciale è nato nelle corti rinascimentali ed era praticato dapprima all’interno dei palazzi (vedi la sala della pallacorda ai tempi della rivoluzione francese) e poi all’esterno, a partire dalla fine del’700. Da quel periodo in poi divenne sport a diffusione nazionale ed ebbe inizio il proliferare di arene apposite (sferisteri) dove i giocatori diventati professionisti entusiasmavano gli spettatori. Personaggi famosi dell’epoca frequentavano lo sferisterio, dove si scommettevano cifre considerevoli: Giolitti, De Amicis che scrisse un libro sul gioco, Beniamino Gigli, Leopardi che scrisse una ode a Carlo Didimi, famoso giocatore di pallone; il giovane Mastai Ferretti, futuro Papa Pio IX, era solito giocare al bracciale quando veniva a Mondolfo a trovare alcuni suoi parenti. Nelle varie città d’Italia esistevano delle compagnie di giocatori che avevano in calendario partite giornaliere da maggio fino a settembre e che si aggiudicavano i migliori professionisti con ingaggi astronomici. Firenze, Roma, Bologna, Torino, Livorno, ma anche Macerata (con il suo monumentale sferisterio), Faenza, Fano, Cesena, Verona, Asti, Cuneo, Alba avevano il loro sferisterio ed i loro beniamini. L’avvento del calcio e ciclismo portò il gioco del pallone alla scomparsa, avvenuta negli anni ‘50 e alla sopravvivenza sporadica in alcuni paesi delle Marche e Romagna. Nel ‘92, la passione di alcuni nostalgici ha portato alla costituzione di un Comitato Nazionale e all’organizzazione di un regolare campionato italiano riconosciuto dal CONI tramite l’affiliazione alla Federazione Italiana Pallapugno». http://www.fipap.it/
(…) Te l’echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore (…)
Giacomo Leopardi, “A un vincitore nel pallone”, 1821
Dopo lo sferisterio, a Verona nel 1910 sorse il primo stadio, nei pressi della Cittadella (rievocato nel 2010 con la “Vecio Bentegodi Cup”), teatro di molte imprese del discobolo Adolfo Consolini (Costermano, 1917 – Milano, 1969), vincitore di un oro olimpico a Londra nel 1948 e di un argento a Helsinki ‘52, tre volte primatista mondiale, per 17 anni detentore del record italiano. Il nostro presente Bentegodi venne inaugurato nel 1963: le dimensioni notevoli per i tempi suscitarono critiche – troppa sproporzione tra struttura e valenza della squadra, al tempo – e fu evidenziata anche la mancanza di sufficienti vie per raggiungerlo.
In occasione di Italia 1990 fu ampliato, coprendo tutti i settori e creando un anello superiore e tribune; curva sud e parterre furono dotati di nuovi seggiolini e oggi lo stadio veronese è tra gli impianti più funzionali d’Europa e, per capienza (31.045 posti a sedere, omologati secondo norma di legge, dati dell’osservatorio sport nazionale), tra i primi d’Italia dopo San Siro, Olimpico, San Paolo, San Nicola, Via del Mare, Artemio Franchi e Arechi; è sede degli incontri interni delle due squadre professionistiche calcio Chievo Verona e Hellas Verona (esordio della terza, Virtus Verona, nel 2014); ospita, inoltre, le partite di champions femminile del Bardolino Verona, rugby, alcuni incontri di squadre giovanili, manifestazioni di atletica leggera (pista gialloblù ad otto corsie, aperta al pattinaggio) e concerti musicali. La curva sud è storicamente riservata ai tifosi di casa, la curva nord ai tifosi ospiti, le tribune sul lato ovest (lato delle panchine) sono attrezzate per la stampa; il terreno di gioco misura 105×68 metri. Tra luglio e dicembre 2009 il Bentegodi è diventato il primo stadio solare d’Italia, grazie al il più grande impianto fotovoltaico del paese su una struttura sportiva: 13.328 pannelli solari sul tetto coprono ampiamente i costi di manutenzione, producendo circa 1 megawatt di energia pulita all’anno, evitando l’emissione di oltre 550 tonnellate di Co2 in atmosfera. La spesa dell’intervento, di circa 4 milioni di euro, viene ammortizzata grazie al meccanismo della messa in rete dell’energia in un periodo di vent’anni e per tenere costantemente aggiornata la cittadinanza, alcuni display esterni conteggiano in tempo reale l’energia prodotta.
Pochi giorni fa un incontro tra amministrazione comunale e società sportive ha ufficializzato l’avvio dei lavori per sistemare il manto erboso entro il 12 agosto, prima giornata di coppa Italia.